maggio 2010
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dal Lezionario
Per
parlare della SS Trinità non ci sono parole migliori dei tre
linguaggi che la Liturgia usa nelle tre letture di questa
Domenica: la poesia, il cuore pieno, la ricerca.
La poesia del libro dei
Proverbi che ci parla di Dio attraverso il miracolo delle
cose e della loro origine, attraverso la Sapienza di Dio,
che sa dove nascono gli abissi, che traccia l’arco del
cielo, che prova la gioia di creare, gode della bellezza
delle cose e della compagnia degli uomini. Non il Dio noioso
dei nostri trattati, ma il Dio gioioso che moltiplica la
vita, crea bellezza, produce armonia e compagnia. Nella II
Lettura il “cuore pieno” di Paolo ci racconta di un
Dio che riempie il cuore: «l’amore è stato riversato nei
vostri cuori» e lo racconta a noi uomini e donne di
questo tempo abituati a interpretare tutto sempre più
tristemente in chiave di degrado, di impoverimento, di
sospetto. Il termine “Riversato” ci porta alla mente
grandi acque, quantità che traboccano, di un Dio che non
misura, non è condizionato dal piccolo cuore dell’uomo, che
introduce il “di più” rispetto al pareggio contabile del
dare e dell’avere che noi spesso teniamo con Lui. Infine
Gesù: “Ricerca” e rivelazione insieme, che non definisce
tutto, come vorrebbe la nostra presunzione ma ci dice: “ho
ancora molte cose da dirvi”; che promette un lungo,
fortificante cammino, una ricerca e una guida: “lo
Spirito vi guiderà alla verità tutta intera”, che è al
futuro, per domani e non per oggi; che non è chiusa nelle
nostre formule, perché «in Dio si scoprono nuovi mari quanto
più si naviga» come scriveva Luis De Leon un mistico del
500. E così accade nel Vangelo dove “la verità tutta
intera” non consiste in definizioni nuove, ma è tradurre
ancora il Vangelo in forte, armoniosa, cordiale sapienza del
vivere.
C’è una preghiera breve,
semplice, che più che preghiera è un grandissimo atto di
fede, che tutti o quasi, facciamo in diversi momenti del
giorno anche se non sempre riusciamo a coglierne la portata
e la divina bellezza: è il “segno della Croce”. Tanti di noi
iniziano e terminano la giornata segnandosi nel Nome del
Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Tanti lo fanno prima
di mangiare o di iniziare un lavoro. Molti lo fanno prima di
salire in aereo, in nave o prima di iniziare un viaggio in
macchina. Tante mamme lo fanno sulla fronte del loro figlio,
appena nato, come ad affermare che quel bambino, dono di
Dio, lo affidano subito al Padre. I ministri ordinati
(diaconi, sacerdoti e vescovi) iniziamo ogni atto liturgico
sempre con il segno della Croce, accompagnato dal saluto:
«la pace sia con voi». Molti lo fanno passando davanti ad
una chiesa, facendolo seguire da uno o più Gloria. Ed infine
a quel segno affidiamo i nostri defunti: è l’ultimo saluto
che li accompagna a Dio con la Croce ben stretta nelle mani.
Il significato di questo
segno è affermare la nostra fede nella Santissima Trinità,
Padre, Figlio e Spirito Santo, ricordandoci che noi
apparteniamo al loro Amore e, a Loro, ci affidiamo. “Tutto
quello che il Padre possiede è mio: per questo ho detto che
prenderà del mio e ve lo darà” (Gv 16,15). Nello stesso
tempo, facendo il segno della Croce, facciamo presente al
nostro cuore il grande amore con cui il Padre ci circonda
per intero, abbracciando quasi la nostra vita, come fosse la
sua, ricordiamo la passione, morte e resurrezione di Gesù
Cristo, che si è attuata passando proprio attraverso la
Croce.
Domenica scorsa abbiamo
celebrato la Pentecoste con il dono dello Spirito Santo che
ci ha scosso, spinto fuori, scaldato, illuminato... Ed è
proprio alla luce dello Spirito che oggi possiamo riflettere
sul mistero di Dio Uno e Trino. Lo facciamo partendo da una
domanda che faccio spesso: in quale Dio crediamo? O non
crediamo? Sì perché spesso mi accorgo di un paradosso:
molti, in realtà, non credono al Dio che Gesù è venuto a
rivelarci, ma ad un Dio che ha caratteristiche vagamente
cristiane, degenerate in maschere, che lo riconducono ad un
vago senso religioso pieno di contraddizioni e fatto solo di
devozionismo. È triste vedere come, dopo duemila anni di
cristianesimo, ci troviamo incollato addosso il volto di un
Dio superstizioso, approssimativo e antipatico ... Se
crediamo, ed io lo credo, che Gesù è più di un uomo, più di
un profeta, più del Messia, perché è la presenza stessa di
Dio, allora possiamo fidarci di ciò che Egli dice sul Volto
di Dio. Gesù non parla per sentito dire, per ipotesi o per
ragionamento, Gesù parla per esperienza: Lui sa com’è Dio
perché Lui e il Padre sono una cosa sola.
C’è un modo errato di pensare
alla Trinità che ha impedito di percepire la forza che si
sprigiona da questo mistero. Consiste nel pensare alla
Trinità come una cosa, come una realtà tutta fatta e
conclusa in se stessa. Ma la Trinità non è una cosa; la SS
Trinità è una vita, ed è sempre in atto ed è in continuo
divenire. In Dio, ogni atto è eterno, continuo. In Dio tutto
è Amore continuamente.
Dobbiamo restituire a questo
mistero, principio e fonte di tutta la vita della Chiesa, la
sua luce e il suo giusto posto nella nostra fede. Perdere di
vista l’orizzonte trinitario ci porta, infatti, ad una
progressiva banalizzazione della fede. Ci si attacca a Gesù;
ma presto anche di Lui si smarrisce la dimensione
trascendente e divina e non resta che l’uomo. Senza il Padre
e lo Spirito Santo, è impossibile credere in Cristo, perché
è proprio di Essi che Lui ci parla e sono proprio Essi che
ci parlano di Lui. Un Gesù senza il suo profondo e
ininterrotto dialogo con il Padre, senza il suo “Abbà”,
non è più Gesù; un Gesù senza lo Spirito che lo illumina non
è il Gesù Risorto che salva e che santifica l’umanità.
Gesù
ci svela qualcosa di inaudito, inimmaginabile, inatteso: Dio
è Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Cioè: Dio non è il
solitario perfetto, l’incommensurabile, onnipotente si, ma
sommo egoista bastante a se stesso. No: Dio è festa, è
famiglia, è comunione, è danza, è relazione, è dono. Dio è
tre Persone che si amano talmente che noi ne vediamo solo
una. Un po’ come quando vediamo una coppia di sposi o di
fratelli che si vogliono talmente bene da sembrare una cosa
sola. È bello, e ci deve far riflettere, vedere realizzato
in Dio ciò che noi desideriamo da sempre! Tre Persone che
non si confondono, che non si annullano ma di cui riusciamo
addirittura a delineare l’opera, il lavoro di ognuno, il
“carattere specifico” di ogni Persona: riconosciamo
l’impronta del Padre nella Creazione, nello stupore della
natura; riconosciamo l’agire del Figlio nella sua volontà di
salvezza dell’uomo; riconosciamo la Grazia dello Spirito che
accompagna, porta a compimento e santifica l’umanità
pellegrina.
Per far tornare a brillare
questo mistero, come nei primi secoli della Chiesa, abbiamo
uno strumento privilegiato: “la lettura della Bibbia”. Come
abbiamo visto la Liturgia, attraverso la lettura di alcuni
brani, ci mostra come nella Bibbia possiamo scoprire il
manifestarsi della SS Trinità nello svolgersi concreto del
piano di salvezza. Per questo non dobbiamo lasciare passare
un solo giorno senza che ci serviamo di questo strumento.
Già leggendo la prima pagina
della Bibbia, la Genesi, ci dice che siamo fatti ad immagine
e somiglianza di Dio. Quindi siamo fatti ad immagine e
somiglianza della comunione trinitaria. Ecco perché la
solitudine è il primo male. Perfino nel cielo: «neanche Dio
può stare solo» (Turoldo). La Trinità è la vittoria
essenziale sulla solitudine. Questo spiega perché la
solitudine ci fa paura, è vissuta come un dramma, perché è
contro la nostra natura! Questo spiega perché quando amiamo,
quando siamo in compagnia, quando riusciamo ad accogliere e
ad essere accolti stiamo così bene: perché realizziamo la
nostra vocazione comunionale! La festa della Trinità,
allora, è la festa del nostro destino, è lo specchio della
nostra attitudine profonda, è il segreto della nostra
felicità.