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Riflessione sul Vangelo Festivo

a cura del Diacono Gaetano Bellino

 

Anno Liturgico 2009-2010 (Anno C)

 

 

27 Dicembre 2009 - Sacra Famiglia

Pubblicato: sabato 26 dicembre 2009

Se vuoi, prima di leggere la riflessione, clicca qui per le letture dal Lezionario

La Liturgia di oggi nell’accompagnare i passi della nostra vita, dopo il Natale di Gesù a Betlemme, giustamente celebra la festa della Sacra Famiglia: Gesù, Giuseppe e Maria.

la famiglia è il più grande valore, il luogo sicuro della dimora di Dio tra noi, la sorgente di numerose vite e, in tutte le case, come benedizione da invocare ed aiuto da imitare, sarebbe bello se spiccasse il quadro della Sacra Famiglia.

La famiglia, che la liturgia oggi celebra ricordando quella di Nazareth, famiglia santa per eccellenza perché in essa era presente, quale figlio, Gesù, è un dono sacro di Dio, dono che risale alle origini della stessa stirpe umana, quando Dio, dopo aver creato l’uomo a sua somiglianza, vide che non era bene che questa sua creatura fosse sola nell’Eden.

Così  Dio creò la donna e la condusse ad Adamo; la donò a lui come compagna, come un bene per la sua esistenza: lei sarebbe stata sua moglie e la madre dei suoi figli; a loro il Creatore diede un comandamento: “Siate fecondi e moltiplicatevi” (Gn 1,28); questo è il precetto che pone un fondamento sacro alla famiglia e, allo stesso tempo, è la vocazione naturale dell’uomo a trasmettere la vita ad altre creature, all’interno di una famiglia, cosa che attira sull’uomo la benedizione di Dio.

La vita che continua nei figli è un segno grande della benedizione dell’Altissimo; un segno che nel popolo eletto diventava attesa del Messia promesso, per cui la sterilità veniva avvertita e vissuta come una maledizione e il dono di un figlio diventava un desiderio ardente e una supplica da elevare a Dio.

Ed ecco che la prima Lettura della liturgia di questa domenica ci presenta l’esperienza di una famiglia nella quale la speranza di un figlio sembra esser divenuta vana: è la storia di Anna, moglie di Elkana, che non si stancò di pregare Dio perché le concedesse un figlio. Il Signore ascoltò la preghiera di Anna, ebbe compassione del suo tormento e le concesse quel figlio che lei chiamò Samuele perché – diceva: “dal Signore l’ho impetrato”.

I figli sono dono di Dio, un dono prezioso che non può esser considerato proprietà dei genitori; infatti, ogni bimbo che nasce, in quanto ha in sé l’immagine di Dio, appartiene principalmente a Lui e verso di Lui deve essere guidato, perché lo conosca, e conoscendoLo conosca se stesso e diventi capace di realizzare al meglio tutte le sue potenzialità per attuare, in pienezza di libertà, il progetto che il Signore ha su di lui.

È la storia di Samuele, che Anna consacrò a Dio, una storia che dovrebbe essere quella di ogni figlio che viene al mondo, creatura amata da Dio, e che a Lui deve essere consacrata, e noi che crediamo in Cristo sappiamo bene che la prima, fondamentale consacrazione, avviene nel battesimo, non una semplice tradizione, ma l’inizio di un cammino che durerà per tutta la vita.

anche per il proprio Figlio, il Cristo salvatore, che veniva nel mondo per redimere gli uomini, Dio volle una famiglia che non fosse diversa dalle altre: una madre e un padre, o meglio, un uomo generoso che, agli occhi di tutti, avrebbe fatto le veci del Padre dal quale il Cristo proveniva.

È la Santa Famiglia di Nazareth: Maria, Giuseppe e Gesù.

Il Vangelo di oggi ci presenta un momento particolare della vita della Santa Famiglia, è un momento importante per la vita di quel figlio giovinetto e per quella dei suoi genitori; un momento in cui, per la prima volta, Gesù rivela a Maria e Giuseppe il suo Mistero.

In questo passo del Vangelo Gesù non è più bambino, ha compiuto dodici anni, un’età in cui ogni ragazzo ebreo entrava nella pienezza della responsabilità di fronte alla Legge e ad ogni precetto della religione; ed è in questo momento della sua vita che i genitori lo conducono al tempio di Gerusalemme.

Gesù è condotto nella casa del Padre suo, nella sua stessa casa, la sua vera casa, e qui rivela ai dottori della Legge una sapienza insospettabile: “tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore - nota l’evangelista - per la sua intelligenza e le sue risposte”; egli si trattiene da solo per tre giorni: quei terribili giorni in cui i suoi “angosciati” lo cercano.

Nel tempio, si compie la prima grande autorivelazione che Gesù fa di sé e del suo destino, con quelle parole sconcertanti, rivolte principalmente a sua madre, che gli chiedeva ragione di quanto aveva fatto: “Perché mi cercavate? - è la risposta - Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. “Ma essi non compresero le sue parole”. Precisa il testo: non compresero, in quel momento, e non risposero, anche se quanto il figlio aveva detto loro, rimase scolpito nella loro mente; soprattutto in quella di sua madre, che dovette tacitamente ripetere in cuor suo, ancora un “Sì!” al progetto di Dio che incominciava a delinearsi più chiaramente sul Figlio.

È un messaggio veramente grande quello che viene a noi dalla famiglia di Nazareth, un messaggio di importanza vitale in questo nostro tempo, che vede la dissacrazione della famiglia, quella voluta da Dio, che viene sostituita da facili e illusori surrogati che non portano bene a nessuno, soprattutto ai figli, che si affacciano alla vita in un mondo, per tanti aspetti inquieto e carico di incertezze.

Maria e Giuseppe ci insegnano che in ogni figlio che nasce c’è un progetto, che non è quello che ogni padre e ogni madre fanno, dettato dall’immaginazione e dal cuore; ma è un progetto che nasce dalla volontà di Dio; sta ai genitori saperlo scorgere, saperlo accogliere e saperlo promuovere, guidando i figli in tal senso; ecco perché nel percorso educativo, volto alla piena maturazione della persona, non può assolutamente mancare il rapporto con Dio.

Oggi si ha come l’impressione che troppe famiglie siano fragili, al punto da rompersi per un nulla. moltissimi genitori sono incapaci di entrare nella dimensione della carità, che è dono, sacrificio, amore e fedeltà, il tutto sostenuto dalla Grazia che viene data nel Sacramento del Matrimonio.

Se c’è un punto in cui la politica, e quindi la società, sta mostrando la sua incapacità di aiutare l’uomo nel difficile compito di interpretare bene la vita, è proprio il cedimento di fronte alla indissolubilità del matrimonio.

Si arriva così a chiamare “famiglia” un’unione senza sicurezza di fedeltà: ormai sempre più scelgono di formare “coppie di fatto”, pronti, “di fatto”, a sciogliersi in qualsiasi momento. Sbriciolando l’indissolubilità del matrimonio, chi ne fa le spese sono i figli. E non c’è bisogno di descrivere l’oceano di sofferenze che questo comporta. Senza contare che i figli non sanno più chi chiamare papà o mamma e quindi perdono la “bussola” del come comportarsi. Non c’è più il papà-guida, la mamma-tenerezza.

Il Vangelo oggi ci propone uno spiraglio di bellezza divina in casa della famiglia di Nazareth. Uno spaccato di vita familiare che davvero dovrebbe essere il modello di comportamento per le mamme ed i papà.

Ma nelle nostre famiglie c’è ancora il senso del sacro? C’è ancora quel rispetto al progetto di Dio, che è in ogni uomo, e quindi un’ attenzione da parte dei genitori perché questo “progetto”, attraverso la fede, la preghiera, una pedagogia fondata sulla Parola di Dio prenda corpo?

Non si può impedire che lo stato cerchi di dare una risposta a situazioni nuove presenti nella società, riconoscendo alcuni diritti civili a persone anche dello stesso sesso che hanno deciso di mettere insieme le proprie vite. Quello a cui dobbiamo stare attenti è che questo non si traduca in un indebolimento dell’istituto familiare, già tanto minacciato nella cultura moderna.

Si sa che il modo migliore di indebolire una realtà è quello di dilatarla e banalizzarla, facendole abbracciare cose diverse e tra loro contraddittorie. Questo avviene se si equipara la coppia omosessuale al matrimonio tra l’uomo e la donna. Il senso stesso della parola “matrimonio”, dal latino ufficio della madre (matris), rivela l’insensatezza di tale progetto.

Oltre tutto non c’è motivo di questa equiparazione, dato che si possono salvaguardare i diritti civili in questione anche in altri modi, né questo va interpretato come un limite ed un’offesa alla dignità delle persone omosessuali che tutti oggi sentiamo il dovere di rispettare ed amare

Tutto questo vale, a maggior ragione, per il problema dell’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali che è inaccettabile perché è un’ adozione a esclusivo beneficio degli adottanti, non del bambino, che potrebbe benissimo essere adottato da coppie normali di papà e mamma. Ce ne sono tante che aspettano da anni.

Le donne omosessuali hanno anche loro, si fa notare, l’istinto della maternità e vogliono soddisfarlo adottando un bambino; gli uomini omosessuali sperimentano il bisogno di vedere crescere una giovane vita accanto a loro e vogliono soddisfarlo adottando un bambino.

L’adozione è stravolta nel suo significato più profondo: non è più un dare qualcosa, ma un cercare qualcosa. Il vero amore, dice Paolo, “non cerca il proprio interesse”. È vero che anche nelle adozioni normali, i genitori adottanti cercano, a volte, il loro bene: avere qualcuno su cui riversare il loro amore reciproco, un erede delle loro fatiche. Ma in questo caso il bene degli adottanti coincide con il bene dell’adottato, non si oppone ad esso. Dare in adozione un bambino a una coppia omosessuale, quando sarebbe possibile darlo a una coppia di genitori normali, non è, obbiettivamente parlando, fare il bene del bambino, ma il suo male.

La Famiglia di Nazareth, la Santa Famiglia, si offre come icona di vita familiare, un modello importante sul piano umano, che ci parla di dedizione, di amore, di armonia e di rispetto reciproco; una vita familiare il cui centro è Cristo; infatti è lui che si deve cercare, conoscere, accogliere e seguire, perché solo Lui è la luce che può guidare i passi di tutti, genitori e figli, verso la Verità che salva.

 

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Ultimo aggiornamento: 28-12-09