La
Liturgia di oggi nell’accompagnare i passi della nostra
vita, dopo il Natale di Gesù a Betlemme, giustamente celebra
la festa della Sacra Famiglia: Gesù, Giuseppe e Maria.
la
famiglia è il più grande valore, il luogo sicuro della
dimora di Dio tra noi, la sorgente di numerose vite e, in
tutte le case, come benedizione da invocare ed aiuto da
imitare, sarebbe bello se spiccasse il quadro della Sacra
Famiglia.
La famiglia, che la liturgia
oggi celebra ricordando quella di Nazareth, famiglia santa
per eccellenza perché in essa era presente, quale figlio,
Gesù, è un dono sacro di Dio, dono che risale alle origini
della stessa stirpe umana, quando Dio, dopo aver creato
l’uomo a sua somiglianza, vide che non era bene che questa
sua creatura fosse sola nell’Eden.
Così Dio creò la donna e la
condusse ad Adamo; la donò a lui come compagna, come un bene
per la sua esistenza: lei sarebbe stata sua moglie e la
madre dei suoi figli; a loro il Creatore diede un
comandamento: “Siate fecondi e moltiplicatevi” (Gn
1,28); questo è il precetto che pone un fondamento sacro
alla famiglia e, allo stesso tempo, è la vocazione naturale
dell’uomo a trasmettere la vita ad altre creature,
all’interno di una famiglia, cosa che attira sull’uomo la
benedizione di Dio.
La vita che continua nei
figli è un segno grande della benedizione dell’Altissimo; un
segno che nel popolo eletto diventava attesa del Messia
promesso, per cui la sterilità veniva avvertita e vissuta
come una maledizione e il dono di un figlio diventava un
desiderio ardente e una supplica da elevare a Dio.
Ed ecco che la prima Lettura
della liturgia di questa domenica ci presenta l’esperienza
di una famiglia nella quale la speranza di un figlio sembra
esser divenuta vana: è la storia di Anna, moglie di Elkana,
che non si stancò di pregare Dio perché le concedesse un
figlio. Il Signore ascoltò la preghiera di Anna, ebbe
compassione del suo tormento e le concesse quel figlio che
lei chiamò Samuele perché – diceva: “dal Signore l’ho
impetrato”.
I figli sono dono di Dio, un
dono prezioso che non può esser considerato proprietà dei
genitori; infatti, ogni bimbo che nasce, in quanto ha in sé
l’immagine di Dio, appartiene principalmente a Lui e verso
di Lui deve essere guidato, perché lo conosca, e
conoscendoLo conosca se stesso e diventi capace di
realizzare al meglio tutte le sue potenzialità per attuare,
in pienezza di libertà, il progetto che il Signore ha su di
lui.
È la storia di Samuele, che
Anna consacrò a Dio, una storia che dovrebbe essere quella
di ogni figlio che viene al mondo, creatura amata da Dio, e
che a Lui deve essere consacrata, e noi che crediamo in
Cristo sappiamo bene che la prima, fondamentale
consacrazione, avviene nel battesimo, non una semplice
tradizione, ma l’inizio di un cammino che durerà per tutta
la vita.
anche
per il proprio Figlio, il Cristo
salvatore, che
veniva nel mondo per redimere gli uomini, Dio volle una
famiglia che non fosse diversa dalle altre: una madre e un
padre, o meglio, un uomo generoso che, agli occhi di tutti,
avrebbe fatto le veci del Padre dal quale il Cristo
proveniva.
È la Santa Famiglia di
Nazareth: Maria, Giuseppe e Gesù.
Il Vangelo di oggi ci
presenta un momento particolare della vita della Santa
Famiglia, è un momento importante per la vita di quel figlio
giovinetto e per quella dei suoi genitori; un momento in
cui, per la prima volta, Gesù rivela a Maria e Giuseppe il
suo Mistero.
In questo passo del Vangelo
Gesù non è più bambino, ha compiuto dodici anni, un’età in
cui ogni ragazzo ebreo entrava nella pienezza della
responsabilità di fronte alla Legge e ad ogni precetto della
religione; ed è in questo momento della sua vita che i
genitori lo conducono al tempio di Gerusalemme.
Gesù è condotto nella casa
del Padre suo, nella sua stessa casa, la sua vera casa, e
qui rivela ai dottori della Legge una sapienza
insospettabile: “tutti quelli che l’udivano erano pieni
di stupore - nota l’evangelista - per la sua
intelligenza e le sue risposte”; egli si trattiene da
solo per tre giorni: quei terribili giorni in cui i suoi “angosciati”
lo cercano.
Nel tempio, si compie la
prima grande autorivelazione che Gesù fa di sé e del suo
destino, con quelle parole sconcertanti, rivolte
principalmente a sua madre, che gli chiedeva ragione di
quanto aveva fatto: “Perché mi cercavate? - è la
risposta - Non sapevate che io devo occuparmi delle cose
del Padre mio?”. “Ma essi non compresero le sue
parole”. Precisa il testo: non compresero, in quel
momento, e non risposero, anche se quanto il figlio aveva
detto loro, rimase scolpito nella loro mente; soprattutto in
quella di sua madre, che dovette tacitamente ripetere in
cuor suo, ancora un “Sì!” al progetto di Dio che
incominciava a delinearsi più chiaramente sul Figlio.
È un messaggio veramente
grande quello che viene a noi dalla famiglia di Nazareth, un
messaggio di importanza vitale in questo nostro tempo, che
vede la dissacrazione della famiglia, quella voluta da Dio,
che viene sostituita da facili e illusori surrogati che non
portano bene a nessuno, soprattutto ai figli, che si
affacciano alla vita in un mondo, per tanti aspetti inquieto
e carico di incertezze.
Maria e Giuseppe ci insegnano
che in ogni figlio che nasce c’è un progetto, che non è
quello che ogni padre e ogni madre fanno, dettato
dall’immaginazione e dal cuore; ma è un progetto che nasce
dalla volontà di Dio; sta ai genitori saperlo scorgere,
saperlo accogliere e saperlo promuovere, guidando i figli in
tal senso; ecco perché nel percorso educativo, volto alla
piena maturazione della persona, non può assolutamente
mancare il rapporto con Dio.
Oggi si ha come l’impressione
che troppe famiglie siano fragili, al punto da rompersi per
un nulla. moltissimi
genitori sono incapaci di entrare nella dimensione della
carità, che è dono, sacrificio, amore e fedeltà, il tutto
sostenuto dalla Grazia che viene data nel Sacramento del
Matrimonio.
Se c’è un punto in cui la
politica, e quindi la società, sta mostrando la sua
incapacità di aiutare l’uomo nel difficile compito di
interpretare bene la vita, è proprio il cedimento di fronte
alla indissolubilità del matrimonio.
Si arriva così a chiamare
“famiglia” un’unione senza sicurezza di fedeltà: ormai
sempre più scelgono di formare “coppie di fatto”, pronti,
“di fatto”, a sciogliersi in qualsiasi momento. Sbriciolando
l’indissolubilità del matrimonio, chi ne fa le spese sono i
figli. E non c’è bisogno di descrivere l’oceano di
sofferenze che questo comporta. Senza contare che i figli
non sanno più chi chiamare papà o mamma e quindi perdono la
“bussola” del come comportarsi. Non c’è più il papà-guida,
la mamma-tenerezza.
Il Vangelo oggi ci propone
uno spiraglio di bellezza divina in casa della famiglia di
Nazareth. Uno spaccato di vita familiare che davvero
dovrebbe essere il modello di comportamento per le mamme ed
i papà.
Ma nelle nostre famiglie c’è
ancora il senso del sacro? C’è ancora quel rispetto al
progetto di Dio, che è in ogni uomo, e quindi un’ attenzione
da parte dei genitori perché questo “progetto”, attraverso
la fede, la preghiera, una pedagogia fondata sulla Parola di
Dio prenda corpo?
Non si può impedire che lo
stato cerchi di dare una risposta a situazioni nuove
presenti nella società, riconoscendo alcuni diritti civili a
persone anche dello stesso sesso che hanno deciso di mettere
insieme le proprie vite. Quello a cui dobbiamo stare attenti
è che questo non si traduca in un indebolimento
dell’istituto familiare, già tanto minacciato nella cultura
moderna.
Si sa che il modo migliore di
indebolire una realtà è quello di dilatarla e banalizzarla,
facendole abbracciare cose diverse e tra loro
contraddittorie. Questo avviene se si equipara la coppia
omosessuale al matrimonio tra l’uomo e la donna. Il senso
stesso della parola “matrimonio”, dal latino ufficio della
madre (matris), rivela l’insensatezza di tale progetto.
Oltre tutto non c’è motivo di
questa equiparazione, dato che si possono salvaguardare i
diritti civili in questione anche in altri modi, né questo
va interpretato come un limite ed un’offesa alla dignità
delle persone omosessuali che tutti oggi sentiamo il dovere
di rispettare ed amare
Tutto questo vale, a maggior
ragione, per il problema dell’adozione di bambini da parte
di coppie omosessuali che è inaccettabile perché è un’
adozione a esclusivo beneficio degli adottanti, non del
bambino, che potrebbe benissimo essere adottato da coppie
normali di papà e mamma. Ce ne sono tante che aspettano da
anni.
Le donne omosessuali hanno
anche loro, si fa notare, l’istinto della maternità e
vogliono soddisfarlo adottando un bambino; gli uomini
omosessuali sperimentano il bisogno di vedere crescere una
giovane vita accanto a loro e vogliono soddisfarlo adottando
un bambino.
L’adozione è stravolta nel
suo significato più profondo: non è più un dare qualcosa, ma
un cercare qualcosa. Il vero amore, dice Paolo, “non
cerca il proprio interesse”. È vero che anche nelle
adozioni normali, i genitori adottanti cercano, a volte, il
loro bene: avere qualcuno su cui riversare il loro amore
reciproco, un erede delle loro fatiche. Ma in questo caso il
bene degli adottanti coincide con il bene dell’adottato, non
si oppone ad esso. Dare in adozione un bambino a una coppia
omosessuale, quando sarebbe possibile darlo a una coppia di
genitori normali, non è, obbiettivamente parlando, fare il
bene del bambino, ma il suo male.
La Famiglia di
Nazareth, la Santa Famiglia, si offre come icona di vita
familiare, un modello importante sul piano umano, che ci
parla di dedizione, di amore, di armonia e di rispetto
reciproco; una vita familiare il cui centro è Cristo;
infatti è lui che si deve cercare, conoscere, accogliere e
seguire, perché solo Lui è la luce che può guidare i passi
di tutti, genitori e figli, verso la Verità che salva.