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Riflessione sulle Letture Festive

a cura del Diacono Gaetano Bellino

 

Anno Liturgico 2009-2010 (Anno C)

 

 

20 Giugno 2010 - XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Pubblicato: lunedì 14 giugno 2010

Se vuoi, prima di leggere la riflessione, clicca qui per le letture dal Lezionario

Il Vangelo di questa XII Domenica del T.O. si apre mostrandoci Gesù che sente il momento molto importante, perché "se ne stava pregando da solo ed erano con lui i discepoli" e pone una prima domanda ai discepoli: "Le folle, chi dicono che io sia?". Luca pone in bocca ai discepoli alcune delle opinioni più comuni: "Per alcuni Giovanni Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto". Ad ognuna di queste risposte corrispondeva un grado più o meno elevato di popolarità o, comunque, di adesione. Tuttavia, a Gesù non sembra interessare più di tanto il parere della gente, quel che davvero gli sta a cuore è cosa pensino di Lui i discepoli, per questo fa una seconda domanda più diretta, personale e che, certamente, ci scuote e ci turba, ma ci fa bene: "Voi chi dite che io sia?"; chiede ad ognuno di noi: "Per te chi sono io? Che importanza e che ruolo ho per te? Vivi bene anche senza di me oppure no? Chi sono per te? In che misura tu vivi per me?..."  Sono domande dure, ma sono vere. Come quando, dopo la Resurrezione, Gesù chiederà ripetutamente a Pietro: "Mi ami tu?"

Dunque è la seconda domanda quella che conta, la prima serve perché i suoi incomincino a parlare e perché avvertano la differenza della loro posizione. Essi sanno che per Gesù non sono come tutti gli altri: essi sono stati scelti, ad essi è dato conoscere i misteri del Regno di Dio, essi hanno visto i miracoli, hanno ascoltato le sue parole profonde.

Questa seconda domanda è la domanda centrale del brano evangelico: essa chiede certamente chiarezza di idee, ma soprattutto adesione del cuore. E Pietro, a nome di tutti, risponde: "Tu sei il Cristo di Dio", il Messia, l'Unto di Dio".

È una risposta che se non è del tutto chiara nella mente di Pietro, certamente è piena sul piano della sua fede. È ormai chiaro che Gesù per i discepoli non è solo un maestro di dottrine: è l'amico, è il confidente, è la loro vita, è il loro Salvatore. La conversazione che si instaura tra Gesù ed i discepoli è un dialogo familiare e confidente. Gesù apre il suo cuore e confida ai suoi più intimi quello che gli accadrà a Gerusalemme. Del resto è venuto sulla terra per compiere la volontà del Padre, qualunque cosa comporti. L'annuncio "confidenziale" della sua Passione, Morte e Risurrezione, certamente sorprende il piccolo gruppo di discepoli. Ma Gesù sa bene che questa è l'essenza del suo Vangelo e non può rinunciarvi. Anzi, chiunque vuole seguirlo deve accoglierla. Continua, perciò, a parlare proponendo alcune indicazioni sulla sequela. La prima e fondamentale condizione, comunque, è un'adesione piena e totale a Lui. Gesù vuole che i discepoli siano tali non solo esteriormente ma con il cuore; non a metà, ma interamente. E proprio all'inizio del suo viaggio verso Gerusalemme dice a coloro che lo ascoltano: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua". Gesù chiede di essere amato sopra ogni cosa; esige di venire prima di ogni affetto e di ogni affare. O, se vogliamo, pretende di essere il primo affetto e il primo affare. Tutto questo chiede di operare dei cambiamenti su ciascuno di noi, iniziando appunto dal cuore. Qui è il luogo dove si sceglie a chi affidare la propria vita: se a se stessi, alla propria carriera, a tanti altri idoli, oppure al Signore. Seguire Gesù significa essere disponibili a percorrere il suo cammino, a prendere su di sé il rifiuto del mondo, l'incomprensione e anche la diffamazione. Ma il termine sarà la resurrezione, la pienezza della vita. Gesù lega il discepolo al suo destino personale.

"Il Figlio dell'uomo deve patire molto,... essere ucciso, e risuscitare il terzo giorno": è il primo annuncio della Passione, un annuncio strettamente legato alla confessione di Pietro. Gesù vuol far capire che non sarà un Messia come loro se lo immaginano o si aspettano, potente, glorioso, ma un Messia sofferente. Gesù sa che dovrà affrontare la sofferenza, il rifiuto, la morte e lo fa nella speranza, perché sa che la via di Dio non finisce nella morte, ma sempre nella vita; il Cristo risorgerà il terzo giorno e porterà a compimento la sua opera di salvezza. Ma i discepoli non potevano capire ancora, per questo li invita a non dire nulla a nessuno: andrebbero a spiegare una cosa che non hanno per niente chiara.

"Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua". Il messaggio di questa Domenica è semplice, ma non facile da assimilare per la nostra natura umana, ferita dal peccato. Domenica scorsa, attraverso il brano della peccatrice ai piedi di Gesù, abbiamo visto quale debba essere l'atteggiamento dell'uomo che si riconosce peccatore. Le letture di questa domenica ci spingono a fare un ulteriore passo avanti: dicono chiaramente che il mistero della Salvezza, il mistero della misericordia di Dio, passa attraverso il sacrificio e la rinuncia di sé.

Nella prima lettura il profeta Zaccaria, che scrive circa cinquecento anni prima di Cristo, ci dice che il Signore riverserà grazia e consolazione sulla casa di David, ma che le genti guarderanno "a colui che hanno trafitto" cioè Dio stesso, e "sarà un giorno di lutto e pianto come si fa per un figlio unico". Guarderanno a Dio, cioè si convertiranno a Lui che avevano offeso nella persona dei più poveri. È il mistero dell´Amore di Dio offeso dai nostri peccati. Il vangelo, da parte sua, ci dà la risposta che Dio offre agli uomini: manda suo Figlio affinché ci redima mediante la sua Passione, la sua Morte e la sua Resurrezione. Cristo stesso dice chiaramente ai suoi discepoli che deve soffrire e che, se desiderano seguirlo, ognuno dovrà farsi carico della propria croce. Messaggio difficile da accettare, allora come ora, perché contraddice spesso le nostre aspirazioni più intime e, tuttavia, questo è il messaggio di salvezza.

Questa è la verità fondamentale e paradossale della vita cristiana: se vogliamo vivere, dobbiamo morire. È Cristo stesso che ce ne dà l´esempio. Nessuno gli toglie la vita, Egli la offre da sé stesso, ha il potere di darla e di riprenderla. Dice ai suoi apostoli che è necessario che Egli soffra, che sia rifiutato dai capi del popolo, che sia crocifisso e che resusciti al terzo giorno. Ma i suoi discepoli non riescono a capire una lezione tanto grande. In realtà, la croce si innalza di fronte all´uomo come un ostacolo, come qualcosa che contraddice la sua felicità, che non ha nulla di bello, né di desiderabile. L'unica possibilità di accettare la croce della propria vita è "guardare Cristo", contemplare in Lui l´Amore del Padre che offre il Figlio Unigenito per amore nostro. Per poterci fare poi carico della nostra croce dobbiamo fare una profonda meditazione sul suo Amore, sulle sue sofferenze, sulla sua donazione fatta a noi personalmente e individualmente e prendere parte alla croce di Cristo, per amore. Dobbiamo scoprire che la nostra croce quotidiana, quella che ci fa soffrire nel segreto del nostro cuore, è la nostra via per il cielo ed è il nostro contributo all´opera di salvezza.

Per Gesù accogliere la croce ha significato mettersi a servizio del progetto di Dio sull'uomo e, quindi, a servizio dell'uomo.

La croce è, allora, in primo luogo la fatica di servire gratuitamente: non mettere se stesso, la propria vita, il proprio benessere al primo posto richiede infatti una lotta. In secondo luogo, la croce è il rifiuto al quale questo servizio gratuito spesso va incontro. Coloro che Gesù ha servito lo hanno rifiutato, perché ha deluso le loro attese. Tutti i poteri, religiosi e politici, lo hanno rifiutato, perché la sua logica era sovversiva. Nessuno sapeva che farsene di un Salvatore così e allora: "Via, via, crocifiggilo!".

Oggi, con questa pagina di Vangelo, Gesù ci dice che chi Lo vuole seguire deve mettersi sulla stessa strada. Noi, discepoli di Gesù, non cerchiamo la croce per la croce, la sofferenza fine a se stessa: noi vogliamo vivere! Ma si tratta di capire che per vivere bisogna morire; la salvezza passa attraverso il dono di sé. Se vogliamo vivere con intensità e per l'eternità, dobbiamo camminare dietro a Cristo per la via del servizio al Regno di Dio, che implica la Croce. La croce non è tanto la sofferenza che ti capita involontariamente ma, piuttosto, uno stile di vita che dobbiamo scegliere: quello del servizio e del dono gratuito. La nostra vita non è fine a sé stessa, deve servire qualcosa di più grande: l'amore.

L' alternativa è cercare prima di tutto di salvare la propria vita, di conservarla ad ogni costo, mettendo tutto il resto in secondo piano. Però Gesù avverte che chi sceglie questo avrà una vita malaticcia, debole. Chi pensa di trovare la realizzazione senza la Croce, di dare compimento alle sue aspirazioni senza la fatica di donarsi, è un illuso. Chi non si è disposto ad amare quando questo significa soffrire, rovinerà la sua vita: "Chi vuole salvare la propria vita, la perde".

A ognuno la scelta: seguire Gesù o altri, accogliere la Croce o fuggirla, servire Dio o noi stessi.

Tentiamo, allora, di fissare lo sguardo alla Croce che Dio ha posto sulle nostre spalle, perché in realtà ogni uomo dovrebbe portare la propria croce, cerchiamo di scoprire l´Amore racchiuso in essa e l´amore che noi possiamo dare nel portarla.

 

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Ultimo aggiornamento: 14-06-10