Il vangelo di
questa Domenica ci presenta l’episodio delle nozze di Cana.
Il motivo per cui tale brano è proposto in questa domenica,
la seconda dopo l’epifania,
è indicato nella frase conclusiva: “Gesù diede inizio ai
suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e
i suoi discepoli credettero in Lui”. L’epifania è
completata dal miracolo delle nozze di Cana. La liturgia
oggi ci richiama alla memoria quello che abbiamo detto
domenica scorsa, cioè, che con Gesù è cominciata un’era
nuova nel rapporto tra Dio e l’uomo: la gioia è ricomparsa
sul mondo.
Il racconto inizia con una annotazione temporale: “Tre
giorni dopo ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea”.
L’evangelista pone l’episodio delle nozze di Cana al termine
della narrazione di una settimana di Gesù. Nei primi tre
giorni Gesù era stato con Giovanni Battista al Giordano, il
quarto giorno aveva chiamato i primi discepoli ed era stato
con loro, “tre giorno dopo” cioè il settimo giorno conclude
la settimana recandosi a Cana per partecipare alla festa di
nozze di due suoi amici. Non è a caso che l’evangelista
ponga il miracolo di Cana a chiusura della settimana: egli
ricorda a tutti noi che anche la settimana della creazione
terminò con il giorno del riposo e della festa. Non solo,
più avanti scriverà che Gesù, “tre giorni dopo” la sua
morte, risuscitò. Il segno di Cana, perciò, va ben oltre il
semplice episodio di quel matrimonio, unisce il riposo della
creazione e l’inizio del tempo nuovo del Signore risorto.
Cana è la festa del cambiamento, è il giorno della
rinascita, è il giorno della gioia di stare con il Signore.
Cana è la “Domenica”; è il giorno della nostra festa, il
giorno nel quale veniamo raccolti e, come scrive il profeta
Isaia, siamo «una magnifica corona nella mano del
Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio». (I
Lettura). Siamo portati a riscoprire così la grazia della
domenica, il giorno in cui il Signore ci tiene in mano come
lo sposo tiene la sposa nel giorno del matrimonio.
Questo brano evangelico è tra quelli che forse conosciamo
meglio. Tutti ricordiamo la Madre di Gesù che, unica, si
accorge che sta finendo il vino, non è preoccupata per sé o
per il suo apparire, i suoi occhi e il suo cuore guardano e
si preoccupano che tutti siano felici, che quella festa non
sia turbata. Si avvicina, quindi, al Figlio e gli dice: “Non
hanno più vino”. Maria sentiva anche sua quella festa;
sentiva anche sua la gioia dei due sposi. Le parole di
Maria, perciò, possiamo tradurle così: “Noi non abbiamo
più vino”. Dovremmo dirlo ogni giorno per noi e per i
tanti che hanno bisogno di aiuto, di misericordia, di
perdono, di amicizia, di solidarietà. Quando tutti costoro
potranno vedere il miracolo di Cana? Quando il Signore potrà
compiere per loro il “segno” che salvò la festa in quel
giorno a Cana? C’è bisogno dei “segni” del Signore, della
sua presenza. A Cana Maria indica la via ai servi: “Fate
quello che egli vi dirà”: è la via semplice dell’ascolto
del Vangelo, una via che tutti possiamo percorrere.
Questo brano di Vangelo, però, non và interpretato solo alla
luce dell’attenzione e della mediazione di Maria,
sollecitudine e mediazione innegabili, come abbiamo appena
visto ma l’evento ha un significato molto più profondo, che
va al cuore del Mistero e della missione del Salvatore. La
festa di nozze diventa un simbolo. Sappiamo, infatti, che il
simbolo nuziale è quello usato nella Scrittura, per
esprimere il profondo legame d’amore che unisce Dio al suo
popolo e alla singola persona; lo ritroviamo, nei Profeti,
nel sublime Cantico dei cantici, nei Vangeli e nell’
Apocalisse che, descrivendo la gioia dell’intera umanità
salvata dal sangue di Cristo, recita: “...ha inaugurato
il suo regno, il Signore nostro Dio, rallegriamoci ed
esultiamo, perché sono giunte le nozze dell’Agnello, la sua
sposa è pronta...” (Ap.19,6-7).
Come abbiamo sentito, di una sposa ci parla anche la prima
lettura, tratta dal profeta Isaia: “tu sarai chiamata
«Mio compiacimento» e la tua terra, «Sposata», perché il
Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo.
Sì, come un giovane sposa una vergine, così, ti sposerà il
tuo creatore; come gioisce sposo per la sposa, così, il tuo
Dio gioirà per te”. (Is.62,1-5).
Le immagini felici della sponsalità, che costituiscono una
categoria fondamentale nella Scrittura Sacra, per cogliere
ed esprimere l’amore totale e profondo di Dio per l’umanità
intera, sono usate anche da Gesù per parlare di trepidante
fedeltà, nella parabola delle vergini sagge, (Mt.25) così
come per spiegare in che consista il Regno di Dio: “....é
simile, il regno dei cieli, ad un re, il quale fece un
banchetto di nozze per suo figlio, e mandò i suoi servi a
chiamare, coloro che erano stati invitati...”.
(Mt.22,1,14)
Così, le nozze di Cana, sono la cornice perfetta,
l’occasione felice, perché il Cristo, all’inizio della sua
vita pubblica, sollevi un poco il velo che copre il suo
Mistero, il mistero dell’Amore che salva; il miracolo, che
egli compie, infatti, non è un gesto spettacolare, ma un
segno, che indica il senso profondo della Sua azione
prodigiosa.
Gesù è agli inizi della sua opera evangelizzatrice, ed è
ancora lontano da quell’Ora suprema, estremo gesto d’amore;
tuttavia, sollecitato dalla madre, compie il miracolo della
trasformazione dell’acqua in vino, un gesto che è segno
anticipatore, di un altro banchetto, l’ultima cena consumata
coi suoi a Gerusalemme, durante la quale, trasformerà il
vino delle rituali libagioni, nel suo stesso
sangue versato
per la remissione dei peccati. Quella stessa notte, il
Figlio di Dio, ritiratosi in orazione, coi suoi nel
Getzemani si troverà di fronte ad un altro calice e
sperimenterà tutta l’amarezza e la desolazione angosciante
della “Sua Ora”.
Da questo momento gli eventi precipitano e Gesù, in un breve
tempo, si ritrova sul Golgota, inchiodato alla croce, ai
piedi della quale stava sua Madre, lei che era stata
testimone del miracolo di Cana, ora vede un altro miracolo,
quello della Redenzione e vive un’altra trasformazione, che
la coinvolge direttamente perché, da quel momento, da Madre
del Cristo, diverrà Madre di ogni uomo che venga alla luce,
finché duri il tempo.
Se a Cana di Galilea, durante una splendida festa di nozze,
con quella semplice frase: «Non hanno più vino»,
Maria ottiene da Gesù che il velo che copre il Suo Mistero
sia, per un poco, sollevato, ora dal Calvario, sembra
ripetere ad ogni uomo le stesse parole che, allora, disse ai
servi: «Fate quello che vi dirà».
Questa frase di Maria è l’ultima frase da lei pronunciata
tra quelle che il Vangelo ci riferisce. Altre volte, fino
alla Croce, alla Risurrezione e poi alla Pentecoste,
incontreremo Maria insieme al Figlio e insieme ai discepoli,
ma il Vangelo non ci riferirà altre parole pronunciate dalla
Madre del Signore. È davvero molto bello che un invito che
vale per ogni tempo e per ogni credente: “Fate quello che
vi dirà” sia un invito rivolto anche a noi, per vivere
facendo sempre quello che il Signore Gesù ci dice di fare.
Qualcuno ha detto che quello di Cana è un miracolo inutile
perché non guarisce nessuno, non risuscita, non sfama
moltiplicando il cibo, non placa tempeste, in realtà questo
miracolo bellissimo ci aiuta invece a conoscere meglio il
volto di Dio, ci rivela che il nostro Dio è un Dio che ama
la gioia e la festa. Dio Padre è contento di vederci
contenti, si rallegra profondamente quando il nostro cuore è
in festa. Dio stesso si unisce volentieri ai suoi figli che
con cuore sereno cantano, danzano, gustano la festa!
Per capire a fondo quale sia la gioia di Cana ascoltiamo
quanto afferma uno scrittore: «Se tu bevi quel vino che
Dio stesso ti offre, sei nella gioia. Non è detto che tale
gioia sia sempre facile, libera dal dolore e dalle lacrime,
ma è gioia. Ti può capitare di bere quel vino della volontà
di Dio nelle contraddizioni e nelle amarezze della vita, ma
senti la gioia. Dio è gioia anche se sei crocifisso. Dio è
gioia sempre. Dio è gioia perché sa trasformare l’acqua
della nostra povertà nel vino della risurrezione. E la gioia
è la nostra riconoscente risposta. Sì, il discepolo di Gesù
deve vivere nella gioia, deve diffondere la gioia, deve
“ubriacarsi” di gioia. E questo sarà sempre il suo vero
apostolato». (C. Carretto).
Dare gioia agli altri è come dare la vita.