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Riflessione sul Vangelo Festivo

a cura del Diacono Gaetano Bellino

 

Anno Liturgico 2009-2010 (Anno C)

 

 

17 Gennaio 2010 - II Domenica del tempo Ordinario (Anno C)

Pubblicato: domenica 10 gennaio 2010

Se vuoi, prima di leggere la riflessione, clicca qui per le letture dal Lezionario

Il vangelo di questa Domenica ci presenta l’episodio delle nozze di Cana. Il motivo per cui tale brano è proposto in questa domenica, la seconda dopo l’epifania, è indicato nella frase conclusiva: “Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in Lui”. L’epifania è completata dal miracolo delle nozze di Cana. La liturgia oggi ci richiama alla memoria quello che abbiamo detto domenica scorsa, cioè, che con Gesù è cominciata un’era nuova nel rapporto tra Dio e l’uomo: la gioia è ricomparsa sul mondo.

Il racconto inizia con una annotazione temporale: “Tre giorni dopo ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea”. L’evangelista pone l’episodio delle nozze di Cana al termine della narrazione di una settimana di Gesù. Nei primi tre giorni Gesù era stato con Giovanni Battista al Giordano, il quarto giorno aveva chiamato i primi discepoli ed era stato con loro, “tre giorno dopo” cioè il settimo giorno conclude la settimana recandosi a Cana per partecipare alla festa di nozze di due suoi amici. Non è a caso che l’evangelista ponga il miracolo di Cana a chiusura della settimana: egli ricorda a tutti noi che anche la settimana della creazione terminò con il giorno del riposo e della festa. Non solo, più avanti scriverà che Gesù, “tre giorni dopo” la sua morte, risuscitò. Il segno di Cana, perciò, va ben oltre il semplice episodio di quel matrimonio, unisce il riposo della creazione e l’inizio del tempo nuovo del Signore risorto. Cana è la festa del cambiamento, è il giorno della rinascita, è il giorno della gioia di stare con il Signore. Cana è la “Domenica”; è il giorno della nostra festa, il giorno nel quale veniamo raccolti e, come scrive il profeta Isaia, siamo «una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio». (I Lettura). Siamo portati a riscoprire così la grazia della domenica, il giorno in cui il Signore ci tiene in mano come lo sposo tiene la sposa nel giorno del matrimonio.

Questo brano evangelico è tra quelli che forse conosciamo meglio. Tutti ricordiamo la Madre di Gesù che, unica, si accorge che sta finendo il vino, non è preoccupata per sé o per il suo apparire, i suoi occhi e il suo cuore guardano e si preoccupano che tutti siano felici, che quella festa non sia turbata. Si avvicina, quindi, al Figlio e gli dice: “Non hanno più vino”. Maria sentiva anche sua quella festa; sentiva anche sua la gioia dei due sposi. Le parole di Maria, perciò, possiamo tradurle così: “Noi non abbiamo più vino”. Dovremmo dirlo ogni giorno per noi e per i tanti che hanno bisogno di aiuto, di misericordia, di perdono, di amicizia, di solidarietà. Quando tutti costoro potranno vedere il miracolo di Cana? Quando il Signore potrà compiere per loro il “segno” che salvò la festa in quel giorno a Cana? C’è bisogno dei “segni” del Signore, della sua presenza. A Cana Maria indica la via ai servi: “Fate quello che egli vi dirà”: è la via semplice dell’ascolto del Vangelo, una via che tutti possiamo percorrere.

Questo brano di Vangelo, però, non và interpretato solo alla luce dell’attenzione e della mediazione di Maria, sollecitudine e mediazione innegabili, come abbiamo appena visto ma l’evento ha un significato molto più profondo, che va al cuore del Mistero e della missione del Salvatore. La festa di nozze diventa un simbolo. Sappiamo, infatti, che il simbolo nuziale è quello usato nella Scrittura, per esprimere il profondo legame d’amore che unisce Dio al suo popolo e alla singola persona; lo ritroviamo, nei Profeti, nel sublime Cantico dei cantici, nei Vangeli e nell’ Apocalisse che, descrivendo la gioia dell’intera umanità salvata dal sangue di Cristo, recita: “...ha inaugurato il suo regno, il Signore nostro Dio, rallegriamoci ed esultiamo, perché sono giunte le nozze dell’Agnello, la sua sposa è pronta...” (Ap.19,6-7).

Come abbiamo sentito, di una sposa ci parla anche la prima lettura, tratta dal profeta Isaia: “tu sarai chiamata «Mio compiacimento» e la tua terra, «Sposata», perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così, ti sposerà il tuo creatore; come gioisce sposo per la sposa, così, il tuo Dio gioirà per te”. (Is.62,1-5).

Le immagini felici della sponsalità, che costituiscono una categoria fondamentale nella Scrittura Sacra, per cogliere ed esprimere l’amore totale e profondo di Dio per l’umanità intera, sono usate anche da Gesù per parlare di trepidante fedeltà, nella parabola delle vergini sagge, (Mt.25) così come per spiegare in che consista il Regno di Dio: “....é simile, il regno dei cieli, ad un re, il quale fece un banchetto di nozze per suo figlio, e mandò i suoi servi a chiamare, coloro che erano stati invitati...”. (Mt.22,1,14)

Così, le nozze di Cana, sono la cornice perfetta, l’occasione felice, perché il Cristo, all’inizio della sua vita pubblica, sollevi un poco il velo che copre il suo Mistero, il mistero dell’Amore che salva; il miracolo, che egli compie, infatti, non è un gesto spettacolare, ma un segno, che indica il senso profondo della Sua azione prodigiosa.

Gesù è agli inizi della sua opera evangelizzatrice, ed è ancora lontano da quell’Ora suprema, estremo gesto d’amore; tuttavia, sollecitato dalla madre, compie il miracolo della trasformazione dell’acqua in vino, un gesto che è segno anticipatore, di un altro banchetto, l’ultima cena consumata coi suoi a Gerusalemme, durante la quale, trasformerà il vino delle rituali libagioni, nel suo stesso sangue versato per la remissione dei peccati. Quella stessa notte, il Figlio di Dio, ritiratosi in orazione, coi suoi nel Getzemani si troverà di fronte ad un altro calice e sperimenterà tutta l’amarezza e la desolazione angosciante della “Sua Ora”.

Da questo momento gli eventi precipitano e Gesù, in un breve tempo, si ritrova sul Golgota, inchiodato alla croce, ai piedi della quale stava sua Madre, lei che era stata testimone del miracolo di Cana, ora vede un altro miracolo, quello della Redenzione e vive un’altra trasformazione, che la coinvolge direttamente perché, da quel momento, da Madre del Cristo, diverrà Madre di ogni uomo che venga alla luce, finché duri il tempo.

Se a Cana di Galilea, durante una splendida festa di nozze, con quella semplice frase: «Non hanno più vino», Maria ottiene da Gesù che il velo che copre il Suo Mistero sia, per un poco, sollevato, ora dal Calvario, sembra ripetere ad ogni uomo le stesse parole che, allora, disse ai servi: «Fate quello che vi dirà».

Questa frase di Maria è l’ultima frase da lei pronunciata tra quelle che il Vangelo ci riferisce. Altre volte, fino alla Croce, alla Risurrezione e poi alla Pentecoste, incontreremo Maria insieme al Figlio e insieme ai discepoli, ma il Vangelo non ci riferirà altre parole pronunciate dalla Madre del Signore. È davvero molto bello che un invito che vale per ogni tempo e per ogni credente: “Fate quello che vi dirà” sia un invito rivolto anche a noi, per vivere facendo sempre quello che il Signore Gesù ci dice di fare.

Qualcuno ha detto che quello di Cana è un miracolo inutile perché non guarisce nessuno, non risuscita, non sfama moltiplicando il cibo, non placa tempeste, in realtà questo miracolo bellissimo ci aiuta invece a conoscere meglio il volto di Dio, ci rivela che il nostro Dio è un Dio che ama la gioia e la festa. Dio Padre è contento di vederci contenti, si rallegra profondamente quando il nostro cuore è in festa. Dio stesso si unisce volentieri ai suoi figli che con cuore sereno cantano, danzano, gustano la festa!

Per capire a fondo quale sia la gioia di Cana ascoltiamo quanto afferma uno scrittore: «Se tu bevi quel vino che Dio stesso ti offre, sei nella gioia. Non è detto che tale gioia sia sempre facile, libera dal dolore e dalle lacrime, ma è gioia. Ti può capitare di bere quel vino della volontà di Dio nelle contraddizioni e nelle amarezze della vita, ma senti la gioia. Dio è gioia anche se sei crocifisso. Dio è gioia sempre. Dio è gioia perché sa trasformare l’acqua della nostra povertà nel vino della risurrezione. E la gioia è la nostra riconoscente risposta. Sì, il discepolo di Gesù deve vivere nella gioia, deve diffondere la gioia, deve “ubriacarsi” di gioia. E questo sarà sempre il suo vero apostolato». (C. Carretto).

Dare gioia agli altri è come dare la vita.

 

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