febbraio 2010
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L’esperienza dominante che ci propone questa prima Domenica
di Quaresima è quella della prova e della lotta. Già la
prima Lettura richiama il difficile cammino che Israele
dovrà percorrere prima di giungere alla sospirata “Terra
Promessa”. ma l’apice di questa lotta è nel “corpo a corpo”
che Gesù ingaggia con il demonio e che avrà il suo epilogo
sulla Croce.
Vengono in mente i molti
deserti della vita, momenti di prova in cui sembra che anche
Dio si sia ritirato e dove il silenzio è rotto solo da
quell’insinuazione diabolica che vorrebbe minare la nostra
fiducia nell’Amore di Dio: “Dov’è il tuo Dio?”.
La prova rientra nel
misterioso piano salvifico di Dio ed è permessa unicamente
per un “di più” d’amore. Anche in questi momenti Dio non ci
abbandona e ci pone tra le mani un’arma potente: la sua
Parola. È con questa “spada” che Gesù sconfigge il nemico: “Sta
scritto!”; e questa Parola oggi è consegnata a noi quale
viatico lungo il cammino quaresimale.
“La
legge e i profeti annunziarono
dei quaranta giorni il
mistero;
Gesù consacrò nel deserto
questo tempo di
grazia.” (dalla Liturgia delle
Ore)
In questi pochi versi, tratti
da un inno della Liturgia delle Ore, è sintetizzato il
significato della Quaresima: un evento, un mistero della
vita di Cristo, un tempo di grazia, per chi crede in Lui.
Gesù di Nazareth, vero Dio e
vero uomo, proprio, in quanto uomo, viene tentato; la sua
fede è messa alla prova nel deserto dove Egli si era
ritirato per un tempo di preghiera e di digiuno: “Gesù,
pieno di Spirito Santo si allontanò dal Giordano e fu
condotto dallo Spirito nel deserto...”
Nella storia vi sono state
schiere di uomini e donne che hanno scelto di imitare questo
Gesù che si ritira nel deserto. Ma l’invito a seguire Gesù
nel deserto non è rivolto solo ai monaci e agli eremiti, in
forma diversa, esso è rivolto a tutti. I monaci e gli
eremiti hanno scelto uno “spazio di deserto”, noi dobbiamo
scegliere almeno un “tempo di deserto”, cioè fare un po’ di
vuoto e di silenzio intorno a noi, ritrovare la via del
nostro cuore, sottrarci al rumore e alle sollecitazioni
esterne, per entrare in contatto con le sorgenti più
profonde del nostro essere e del nostro credere.
Essere esposti alle insidie
del maligno è una costante della nostra vita spirituale e
cedere alla tentazione, in tutti gli ambiti di peccato, è
cosa che di fatto si verifica, specialmente considerando le
ostentazioni della vita di oggi che procede in senso
contrario quanto alla morale ed agli imperativi del sacro;
del resto il libro del Siracide afferma:”Se servi il
Signore, preparati alla tentazione” (Sir. 1,2). C’è,
però, chi pensa che sia possibile fuggire alla tentazione
facendo vita solitaria, come la vita convenutale o quella
dell’eremo e del deserto: niente di più falso. Chiunque
faccia esperienza di vita eremitica o di prolungata
solitudine conosce la tentazione più di tutti gli altri ed è
costretto a condurre non poche lotte contro la propria
concupiscenza che sfodera tutta la sua seduzione, sia in
materia di carnalità sia quanto alla lussuria, al possesso
come su ogni altra cosa. Chi sceglie la solitudine è tentato
molto più di chi vive nel mondo, complici le continue
insinuazioni del maligno (quello vero, il diavolo) che non
concede tregua alle anime disposte a seguire uno speciale
stato di consacrazione o che vogliano dedicarsi maggiormente
a Dio. Secondo la tradizione monastica il deserto era il
luogo in cui i diavoli scorrazzavano alla ricerca di vittime
da incantare e provocare e la vita stessa di molti eremiti e
anacoreti è sufficiente a darci l’idea di come la tentazione
sia tutt’altro che impossibile nei luoghi ritirati o
nell’allontanamento dal mondo.
Potremmo chiederci perché
Gesù viene condotto dallo Spirito Santo nel deserto come
luogo di lotta. La risposta è semplice: Gesù vuole farci
vedere in sé stesso l’esempio più eloquente di lotta contro
il male e contro la tentazione; come Dio avrebbe
effettivamente potuto trasformare i sassi in pane e gettarsi
giù dal pinnacolo uscendone indenne ma, così facendo,
avrebbe disatteso il progetto del Padre. Se è vero che la
tentazione è una realtà connaturale e inevitabile all’uomo,
è altrettanto vero che i mezzi della grazia ci aiutano a
superarla; essere tentati è inevitabile ma vincere è
possibile con le armi della preghiera e della mortificazione
nonché della vita sacramentale.
Il deserto è, dunque, il
luogo che caratterizza la Quaresima, che diventa tempo di
particolare silenzio e solitudine, tempo che prevede anche
delle rinunce, allo scopo di creare uno spazio interiore,
maggiormente aperto a Dio e alla sua Parola che deve
risuonare nell’anima più alta di tutte le altre voci, nelle
quali siamo, inevitabilmente, immersi.
La fede, dono grande di Dio,
dono gratuito, non è qualcosa di scontato, che vive per
forza d’inerzia, ma ha bisogno di esser alimentata,
rinsaldata e resa capace di tradursi in uno stile di vita,
serio e coerente. È quello che, in questa prima domenica di
Quaresima, ci insegna la Parola.
Il primo insegnamento è
quello che ci offre il breve passo del Deuteronomio, che
possiamo chiamare la “professione di fede” del popolo ebreo
ed in cui Mosè dà ragione dell’offerta delle primizie a Dio:
nelle sue parole è riassunta la storia del popolo di Dio, un
popolo che non aveva terra, che si insediò in Egitto, dove
fu ridotto in schiavitù ed oppresso, ma fu liberato e
condotto da Dio nella terra che Egli stesso aveva promesso.
Anche il Salmista parla
dell’uomo ricco di fede, di colui che “abita al riparo
dell’Altissimo” ed ha fatto della volontà di Dio la sua
“dimora”: quest’uomo non è certo esente da prove e da
pericoli, ma quel Dio che egli invoca, non lo abbandona;
recita il salmo:
“Lo
salverò perché a me si è affidato;
lo esalterò, perché ha
conosciuto il mio nome.
Mi invocherà e gli darò
risposta;
presso di lui sarò nella
sventura,
lo salverò e lo
renderò glorioso”.
Il passo del Vangelo, come
abbiamo detto, ci mostra il Figlio di Dio, uomo come noi,
messo alla prova con quelle stesse tentazioni che insidiano
ogni esistenza umana, la tentazione del possesso, del
potere, e della manipolazione di Dio.
Tentazioni che l’Evangelista
stigmatizza in tre frasi:
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