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Riflessione sulle Letture Festive

a cura del Diacono Gaetano Bellino

 

Anno Liturgico 2009-2010 (Anno C)

 

 

21 Febbraio 2010 - I Domenica di Quaresima (Anno C)

Pubblicato: lunedì 15 febbraio 2010

Se vuoi, prima di leggere la riflessione, clicca qui per le letture dal Lezionario

L’esperienza dominante che ci propone questa prima Domenica di Quaresima è quella della prova e della lotta. Già la prima Lettura richiama il difficile cammino che Israele dovrà percorrere prima di giungere alla sospirata “Terra Promessa”. ma l’apice di questa lotta è nel “corpo a corpo” che Gesù ingaggia con il demonio e che avrà il suo epilogo sulla Croce.

Vengono in mente i molti deserti della vita, momenti di prova in cui sembra che anche Dio si sia ritirato e dove il silenzio è rotto solo da quell’insinuazione diabolica che vorrebbe minare la nostra fiducia nell’Amore di Dio: “Dov’è il tuo Dio?”.

La prova rientra nel misterioso piano salvifico di Dio ed è permessa unicamente per un “di più” d’amore. Anche in questi momenti Dio non ci abbandona e ci pone tra le mani un’arma potente: la sua Parola. È con questa “spada” che Gesù sconfigge il nemico: “Sta scritto!”; e questa Parola oggi è consegnata a noi quale viatico lungo il cammino quaresimale.

La legge e i profeti annunziarono

dei quaranta giorni il mistero;

Gesù consacrò nel deserto

questo tempo di grazia.” (dalla Liturgia delle Ore)

In questi pochi versi, tratti da un inno della Liturgia delle Ore, è sintetizzato il significato della Quaresima: un evento, un mistero della vita di Cristo, un tempo di grazia, per chi crede in Lui.

Gesù di Nazareth, vero Dio e vero uomo, proprio, in quanto uomo, viene tentato; la sua fede è messa alla prova nel deserto dove Egli si era ritirato per un tempo di preghiera e di digiuno: “Gesù, pieno di Spirito Santo si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto...

Nella storia vi sono state schiere di uomini e donne che hanno scelto di imitare questo Gesù che si ritira nel deserto. Ma l’invito a seguire Gesù nel deserto non è rivolto solo ai monaci e agli eremiti, in forma diversa, esso è rivolto a tutti. I monaci e gli eremiti hanno scelto uno “spazio di deserto”, noi dobbiamo scegliere almeno un “tempo di deserto”, cioè fare un po’ di vuoto e di silenzio intorno a noi, ritrovare la via del nostro cuore, sottrarci al rumore e alle sollecitazioni esterne, per entrare in contatto con le sorgenti più profonde del nostro essere e del nostro credere.

Essere esposti alle insidie del maligno è una costante della nostra vita spirituale e cedere alla tentazione, in tutti gli ambiti di peccato, è cosa che di fatto si verifica, specialmente considerando le ostentazioni della vita di oggi che procede in senso contrario quanto alla morale ed agli imperativi del sacro; del resto il libro del Siracide afferma:”Se servi il Signore, preparati alla tentazione” (Sir. 1,2). C’è, però, chi pensa che sia possibile fuggire alla tentazione facendo vita solitaria, come la vita convenutale o quella dell’eremo e del deserto: niente di più falso. Chiunque faccia esperienza di vita eremitica o di prolungata solitudine conosce la tentazione più di tutti gli altri ed è costretto a condurre non poche lotte contro la propria concupiscenza che sfodera tutta la sua seduzione, sia in materia di carnalità sia quanto alla lussuria, al possesso come su ogni altra cosa. Chi sceglie la solitudine è tentato molto più di chi vive nel mondo, complici le continue insinuazioni del maligno (quello vero, il diavolo) che non concede tregua alle anime disposte a seguire uno speciale stato di consacrazione o che vogliano dedicarsi maggiormente a Dio. Secondo la tradizione monastica il deserto era il luogo in cui i diavoli scorrazzavano alla ricerca di vittime da incantare e provocare e la vita stessa di molti eremiti e anacoreti è sufficiente a darci l’idea di come la tentazione sia tutt’altro che impossibile nei luoghi ritirati o nell’allontanamento dal mondo.

Potremmo chiederci perché Gesù viene condotto dallo Spirito Santo nel deserto come luogo di lotta. La risposta è semplice: Gesù vuole farci vedere in sé stesso l’esempio più eloquente di lotta contro il male e contro la tentazione; come Dio avrebbe effettivamente potuto trasformare i sassi in pane e gettarsi giù dal pinnacolo uscendone indenne ma, così facendo, avrebbe disatteso il progetto del Padre. Se è vero che la tentazione è una realtà connaturale e inevitabile all’uomo, è altrettanto vero che i mezzi della grazia ci aiutano a superarla; essere tentati è inevitabile ma vincere è possibile con le armi della preghiera e della mortificazione nonché della vita sacramentale.

Il deserto è, dunque, il luogo che caratterizza la Quaresima, che diventa tempo di particolare silenzio e solitudine, tempo che prevede anche delle rinunce, allo scopo di creare uno spazio interiore, maggiormente aperto a Dio e alla sua Parola che deve risuonare nell’anima più alta di tutte le altre voci, nelle quali siamo, inevitabilmente, immersi.

La fede, dono grande di Dio, dono gratuito, non è qualcosa di scontato, che vive per forza d’inerzia, ma ha bisogno di esser alimentata, rinsaldata e resa capace di tradursi in uno stile di vita, serio e coerente. È quello che, in questa prima domenica di Quaresima, ci insegna la Parola.

Il primo insegnamento è quello che ci offre il breve passo del Deuteronomio, che possiamo chiamare la “professione di fede” del popolo ebreo ed in cui Mosè dà ragione dell’offerta delle primizie a Dio: nelle sue parole è riassunta la storia del popolo di Dio, un popolo che non aveva terra, che si insediò in Egitto, dove fu ridotto in schiavitù ed oppresso, ma fu liberato e condotto da Dio nella terra che Egli stesso aveva promesso.

Anche il Salmista parla dell’uomo ricco di fede, di colui che “abita al riparo dell’Altissimo” ed ha fatto della volontà di Dio la sua “dimora”: quest’uomo non è certo esente da prove e da pericoli, ma quel Dio che egli invoca, non lo abbandona; recita il salmo:

Lo salverò perché a me si è affidato;

lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome.

Mi invocherà e gli darò risposta;

presso di lui sarò nella sventura,

lo salverò e lo renderò glorioso”.

Il passo del Vangelo, come abbiamo detto, ci mostra il Figlio di Dio, uomo come noi, messo alla prova con quelle stesse tentazioni che insidiano ogni esistenza umana, la tentazione del possesso, del potere, e della manipolazione di Dio.

Tentazioni che l’Evangelista stigmatizza in tre frasi:

·   «Se tu sei figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane» …

·   «Ti darò tutta questa potenza, e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani, e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo» ...

·   «Ai suoi angeli, darà ordine per te, perché essi ti custodiscano... essi ti sosterranno cori le mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

A queste insidiose proposte del Maligno Gesù risponde con la forza della fede nella Parola di Dio: «Sta scritto: non di solo pane vivrà l’uomo» quando gli viene chiesto di trasformare le pietre in pane. Poi, di fronte alla visione dei regni della terra Lui, che avrebbe testimoniato una regalità ben diversa da quella fondata sull’amore che si attua nel servizio, risponde: «Sta scritto: solo, al Signore tuo Dio ti prostrerai, lui solo adorerai». Infine, sul pinnacolo del tempio di Gerusalemme, la città santa, l’ultimo traguardo della vita terrena di Gesù, dove satana lo ha trasportato, Gesù affronta l’ultima tentazione. Ora, di fronte a Lui c’è una scelta: o essere il Messia trionfante, spettacolare, potente, oppure il Figlio obbediente, disposto a bere il calice amaro della condanna e della morte. Di fronte alla tentazione di Satana, di manipolare Dio e assoggettare la volontà di Lui a quella dell’uomo, Cristo risponde: «è stato detto: “Non tenterai il Signore, Dio tuo”».

L’ insegnamento del Vangelo è chiaro e la testimonianza di Gesù ci è di conforto; Cristo, come ogni altro uomo, ha affrontato l’insidia del Maligno, ma la forza della fede ha vinto; e, come sant’Agostino insegna: “Cristo fu tentato dal diavolo nel deserto, ma in Cristo eri tentato anche tu, perché, Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, ma da sé la tua vita, da te prese l’umiliazione, ma, da sé la tua gloria; dunque prese da te la sua tentazione, ma da sé la tua vittoria...”. (Commento la salmo 60)

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Ultimo aggiornamento: 15-02-10