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Riflessione sulle Letture Festive

a cura del Diacono Gaetano Bellino

 

Anno Liturgico 2009-2010 (Anno C)

 

 

13 Giugno 2010 - XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Pubblicato: lunedì 7 giugno 2010

Se vuoi, prima di leggere la riflessione, clicca qui per le letture dal Lezionario

Concluso il Tempo di Pasqua, con le solenni celebrazioni della Pentecoste, della Santissima Trinità  e del SS. Corpo e Sangue di Cristo, ora riprendiamo la lunga sequenza delle domeniche del Tempo ordinario, tempo che assomiglia, in qualche modo, al nostro quotidiano.

Le Letture di oggi descrivono in modo attento e allo stesso tempo semplice e lineare quale debba essere la disposizione nostra nei confronti di Dio, tutte le volte che facciamo esperienza del peccato. L’episodio del profeta Natan che smaschera Davide nelle sue incresciose malefatte è abbastanza eloquente in proposito: per mezzo di una specifica parabola l’uomo di Dio, infatti, mette il monarca di fronte alla sua propria colpa: con uno stratagemma sottile egli aveva mandato a morte l’Hittita Uria, dopo aver reso gravida la sua consorte a sua insaputa. Facendo morire il coniuge in battaglia, Davide credeva, infatti, che nessuno potesse scoprire della sua relazione segreta con Betzabea. Ma Dio attraverso Natan gli mostra tutta la vergogna e il disonore che comporta il peccato da lui commesso, così egli non può che umiliarsi riconoscendo le proprie colpe e mortificandosi davanti a Dio attraverso le parole che andranno a formare il famosissimo Salmo 50.

Il brano del Vangelo di Luca va analizzato molto più a fondo, soprattutto per i particolari dei personaggi che si presentano e delle gestualità che caratterizzano l’episodio.

Il Vangelo di oggi ci offre un’icona preziosa per lasciarci rinnovare da Cristo: è la figura struggente di una donna, della quale tutti in quel villaggio della Galilea, sicuramente, conoscevano il nome, Luca, invece, la lascia nell’anonimato, riferisce solo quell’etichetta sprezzante, impudica e ipocrita, che gli invitati al banchetto, al quale prende parte Gesù, le affibbiano: «una peccatrice».

Dare il bacio di benvenuto, offrire l’acqua per il pediluvio, ungere i capelli con olio di nardo erano all’epoca comuni usanze di educazione e di rispetto nei confronti di chi veniva ospitato, paragonabili al nostro salutare, stringere la mano e aiutare a togliere o rimettere la giacca. Gesù, quindi sta facendo notare a Simone, il fariseo perbenista che si scandalizza osteggiando Gesù che si lascia “toccare” da una peccatrice prostituta, cosa inaudita per la mentalità farisaica, che proprio lui, tanto amante delle consuetudini e delle tradizioni, ha omesso di attendere alle norme di rispetto e di educazione. Infatti la peccatrice sta eseguendo quelle ritualità non già come semplici formalità da sbrigare quanto basta per fare bella figura ed essere brave persone, ma attraverso lo specifico delle lacrime, il bacio dei piedi e l’olio sui capelli di Gesù sta manifestando di agire con sincerità di cuore, e amore nei confronti di Gesù, tutte caratteristiche che vanno ben al di là della semplice formalità e che non possono scaturire che da una fede profonda che merita il perdono di tutti i peccati. È certo che quella povera donna abbia mostrato pentimento per i suoi peccati, non importa quanto gravi, e adesso vi pone rimedio con la capacità di amare e la disposizione al dono. L’amore poi quando viene esercitato senza restrizioni e riserve ottiene sempre il perdono di tutti i peccati e merita le dovute ricompense e le elargizioni divine poiché nulla può essere più conciliante se non l’amore al prossimo che manifesta a noi stessi e agli altri l’amore di Dio. Perché come si è sempre detto, primo protagonista dell’amore è Dio, essendo Egli stesso a prendere l’iniziativa nel richiamare l’uomo alla comunione con sé tutte le volte che questi se ne allontana per raggiungere alternative contrastanti con l’Amore divino. Dio è il primo a perdonare i nostri peccati, perché Lui per primo ci ha amati.

Ma non è sufficiente che Dio perdoni quando da parte nostra si mostri rifiuto, indifferenza e non ci si disponga ad accogliere tale gratuità di intervento nella nostra vita. Dobbiamo corrispondere alla grazia conciliante con cui Dio tende a ristabilire la nostra comunione con sé, quindi occorre che ci lasciamo riconciliare con Dio concedendo che il suo amore faccia leva sul nostro orgoglio e sulle nostre presunzioni.

Morale della favola: riconoscere sinceramente il proprio peccato, non importa quanto sia grave, e predisporci all’amore sincero sono le condizioni necessarie per meritare il perdono di Dio, senza le quali è impossibile che noi siamo perdonati da parte Sua; non già perché Egli voglia risparmiare sulla bontà e sulla misericordia, ma perché noi stessi rifiutiamo la sua misericordia.

Se Dio perdona per primo mostrando così il suo amore infinito e gratuito occorre che noi ci rattristiamo per il nostro peccato e proviamo dolore per il peccato commesso. Purtroppo, quando ci troviamo al confessionale, non di rado capita che tendiamo a giustificare le nostre mancanze attribuendo molto spesso la colpa ad altri o, comunque, manchiamo di ammettere il nostro errore e di provare dolore per il male commesso verso il prossimo. Anzi, spesso, confessiamo tante cose, senza riferire al sacerdote le nostre mancanze verso il prossimo, della mancanza di carità e della cattiveria manifestata o del bene che potevamo fare e che di fatto abbiamo omesso. Vanificando così il Sacramento stesso della Riconciliazione e abusando di esso!

L’atteggiamento della prostituta che ha tanto amato meritando il perdono, a differenza del fariseo presunto “giusto e impeccabile”, ci fa, invece, rabbrividire al pensiero che molta gente, che al contrario di noi, non frequenta la Chiesa mostra molta più esemplarità di vita proprio su quanto noi “frequentatori” siamo soliti predicare e insegnare agli altri... ma non siamo altrettanto soliti mettere in pratica. Sappiamo bene che nella cultura ebraica come in altre culture orientali, il peccato di adulterio è il più grave e reclama la condanna a morte della donna; così, come sappiamo, che la Sacra Scrittura assume questo peccato, come simbolo di qualunque altra trasgressione alla legge di Dio. Ogni volta che ci comportiamo così violiamo l’Alleanza con Dio trasgredendo i suoi comandamenti e siamo, in qualche modo, “adulteri”, sia come singoli individui che come intero popolo consacrato a Dio. Il tradimento dell’Amore di Dio è, del resto, il peccato delle origini, quando l’uomo, anziché vivere l’amicizia col suo Creatore, diffidando della Sua Parola gli si mise contro fidandosi della parola del maligno. È la nostra storia, la storia di ogni uomo, che vede la luce in questo mondo e per il quale il peccato è un’insidia costante. Riconoscere questa componente della nostra vita è importante perché solo prendendone coscienza si è capaci di aprirci a Dio, implorando la Salvezza, che Egli, ci ha dato nel Figlio Gesù.

Come la donna “peccatrice” ha trovato subito il suo posto tra tutti quegli uomini mettendosi dietro Gesù, rannicchiata ai suoi piedi con quel famoso vasetto di oli preziosi e profumati con i quali unge i piedi del Maestro e poi, mentre li bagna di lacrime, li asciuga coi suoi lunghi capelli così, ai piedi del Cristo Redentore, è il posto di ogni uomo che, deposto il peccato, inizia una vita illuminata, fecondata e rinnovata incessantemente dalla grazia della Misericordia che perdona.

Senza la consapevolezza di essere peccatore l’uomo resta impantanato nel suo peccato, il più subdolo: quale è la superbia della vita. Un tale atteggiamento di sincerità con sé stessi e di umiltà nei confronti di Dio è necessario, non perché il nostro rapporto con Lui debba esser vissuto all’ombra del peccato che incombe, ma perché esso fa parte della nostra realtà umana, e riconoscendolo ci si libera da ogni illusione di vana grandezza.

Al fariseo Simone che indicava, sprezzante, la donna ai piedi di Gesù, il Maestro racconta la parabola dei due debitori. Apparentemente è la donna colei che ha contratto un debito maggiore, ma il suo amore e le sue lacrime la risanano, come il pubblicano al tempio che, proprio perché si riteneva indegno, tornò a casa, perdonato (Lc.18,14).

Simone, che credendosi giusto, giudica inesorabilmente gli altri, resta nella povertà della sua mancanza d’amore: “... tu non mi hai dato l’acqua, per i piedi, lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli … Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato”.

 

 

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Ultimo aggiornamento: 08-06-10