27 Giugno 2010 - XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
Pubblicato:
lunedì 21 giugno 2010
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dal Lezionario
"Mentre stavano
compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto,
Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso
Gerusalemme" Con queste parole inizia il brano di
Vangelo di questa XIII Domenica del T.O; letteralmente si
dovrebbe tradurre: "indurì il suo volto verso Gerusalemme".
L'evangelista Luca ha disposto gran parte dei detti e dei
fatti di Gesù, di cui era a conoscenza, lungo il viaggio
che dalla Galilea lo porterà a Gerusalemme. Non si tratta di
un semplice viaggio, ma molto di più: è la salita di Gesù
verso la sua Pasqua, è la realizzazione della sua ora,
annunciata già nell'episodio della Trasfigurazione e nel
colloquio coi discepoli,che abbiamo meditato domenica
scorsa, dopo la risposta di Pietro: "Tu sei il Messia di
Dio". È importante tenere presente questo particolare
quando leggeremo i brani evangelici delle domeniche
prossime: contengono parole dette da Uno che sta andando
incontro alla sua Morte e lo sa.
All'inizio è riportato un
episodio spiacevole, legato al viaggio di Gesù: il rifiuto
dei samaritani di accoglierlo, proprio perché stava
recandosi a Gerusalemme. Ma il peso maggiore del brano è
sicuramente nella seconda parte, in quella serie di tre
chiamate di Gesù che si aprono ognuna con il verbo «seguire»
in una accentuazione molto forte: Ti seguirò... Seguimi...
Il passo del Vangelo ci parla
di tre anonimi personaggi, dei "chiamati", persone che il
Maestro incontra nel suo cammino e nelle quali ognuno di noi
può identificarsi, persone desiderose di seguirlo più da
vicino e che, in modi diversi, manifestano questa loro
aspirazione; è lo stesso Signore Gesù, ad invitare alcuni
alla sequela.
«Ti
seguirò ovunque tu vada»,
gli dice un tale; ed è un'affermazione carica di desiderio,
molto simile a quello che indusse Pietro ad affermare:
"Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e anche
alla morte..." (Lc.22,33) ma sappiamo che questo
entusiasmo si spense, di fronte alla paura di essere
arrestato anche lui.
Nella
sequela di Cristo non è sufficiente il desiderio perché essa
venga pienamente realizzata; seguire il Signore per la via
stretta, passo dopo passo, ogni giorno, fino in fondo, è
cosa ardua; ed è lo stesso Gesù a darne la spiegazione con
le parole: «Le volpi hanno le loro
tane, e gli uccelli del cielo, i loro nidi, ma il Figlio
dell'uomo non ha dove posare il capo».
Le
parole del Maestro alla richiesta di chi gli diceva:
"«Signore, concedimi di andare a seppellire mio padre»",
non sono certo dettate da insensibilità nei confronti degli
affetti familiari o della pietà filiale, ma sono un
avvertimento a non indugiare e a non lasciarsi irretire da
quanto può intralciare o rallentare la sequela; è questo il
senso di quella frase: «Lascia che
i morti seppelliscano i loro morti; tu va', e annunzia il
regno di Dio».
Colpisce veramente come Gesù
chiede un modo di seguirlo deciso, coerente, forte, di pieno
distacco da tutto ciò che fa parte delle nostre cose, dei
nostri affari, dei nostri affetti. Chiede di liberarci da
tutto, ci chiede di essere liberi da tutto per seguirlo
pienamente e per servire la missione alla quale siamo
chiamati. Ma, certamente, non lo fa per toglierci qualcosa,
per farci soffrire, ma per darci una vera libertà, per darci
il tutto della sua ricchezza e del suo Amore. Scrive p.
Raniero Cantalamessa: "Gesù non solo chiede cose che
sembrano inaudite ma, quello che più stupisce, ottiene ciò
che chiede. Dice a Pietro, a Giacomo e a Giovanni: Venite
dietro a me, e quelli, lasciate le reti e il padre, lo
seguono; dice a Francesco d'Assisi: «Va', vendi ciò che hai,
poi vieni e seguimi», e Francesco, lasciato il padre, si
mette a seguire Gesù in povertà". Anche oggi, in un mondo
che sembra aver reso doppiamente assurda quella sua
richiesta, Gesù continua a far sentire il suo «Vieni e
seguimi!» e ci sono giovani di entrambi i sessi che, a
quell'invito, lasciano la famiglia, la carriera e i sogni
giovanili e lo seguono per essere suoi discepoli a tempo
pieno. Ne abbiamo splendidi esempi anche nella nostra
comunità.
Nella corsa verso "la sua
ora", verso Gerusalemme, verso il "divino altare
dell'Amore", Gesù deve avere provato una profonda amarezza
nel toccare con mano la nostra meschinità, che è incapacità
di affidarsi totalmente al grande bene dell'Amore. Quando
poi questo Amore è nientemeno che Dio, rifiutarlo rivela la
nostra grande debolezza o paura: un vero indurimento del
cuore, che preferisce scegliere e seguire i vicoli ciechi
che sembrano dare più sicurezza, anziché affidarsi alla
grande Via del Cielo, coperta di sacrifici ma irradiata
sempre dalla luce dell'Amore. Da qui la sua precisa parola
per tutti noi ed, in modo speciale, per quelli che Lui
sceglie, perché stiano con Lui e poi .andare a donare ciò
che da Lui abbiamo ricevuto perché, come dice l'evangelista
Luca: "Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si
volge indietro è adatto per il Regno di Dio".
Nel libro della Genesi si
racconta che la moglie di Lot, mentre fuggiva con la sua
famiglia dalla distruzione di Sodoma, «guardò indietro e
divenne una statua di sale» (Gn 19,26). L'episodio pare
curioso, e forse ci fa anche sorridere; eppure forse proprio
a questo episodio pensava Gesù quando disse: «Nessuno che
ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto
per il regno di Dio».
In verità, il gesto del
volgersi indietro non riguarda solo la moglie di Lot: anche
noi, infatti, spesso e volentieri, ci volgiamo indietro.
Accade un po' come quando andiamo al mare senza essere
capaci di nuotare: ci si accontenta di andare in acqua fin
dove tocca; a forza però di volgersi indietro, per paura di
allontanarsi troppo dalla riva, si perde il più bello, che
sta nel nuotare al largo e si rimane come paralizzati a
pochi metri dalla spiaggia.
Nella vita di ogni giorno ci
capita, appunto, la stessa cosa. Spesso e volentieri noi ci
volgiamo indietro: magari perché rimpiangiamo il passato;
oppure perché non siamo capaci di portare a termine l'opera
che stiamo compiendo; o ancora perché abbiamo paura di
sbagliare. In ogni caso, il risultato è uguale: rimaniamo
infatti paralizzati, rigidi come una statua di sale,
incapaci di vivere in pienezza.
Eppure non si può andare
tutta la vita soltanto fin dove tocca, sempre rivolti
indietro. Gesù lo sapeva bene, al punto che "si diresse
decisamente verso Gerusalemme". Gesù avrebbe avuto mille
buoni motivi per volgersi indietro: infatti a Gerusalemme lo
aspettavano i capi del popolo, che avevano già deciso di
metterlo a morte. Tuttavia Gesù non si volse indietro, ma si
diresse verso Gerusalemme: decisamente, a muso duro.
Proprio di una simile
determinazione noi avremmo bisogno: perché la vita di chi
rimane paralizzato dalla nostalgia o dalla paura è davvero
infelice. Per vivere in pienezza, infatti, non basta
accontentarsi di quello che si è, non basta provare qualcosa
e neppure basta intraprendere una strada: è invece
necessario andare avanti, stringere i denti, a muso duro,
fino al compimento di tutto. Ricordiamoci della parola di
Gesù: «Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si
volge indietro, è adatto per il regno di Dio». E
ricordiamoci anche della moglie di Lot, che «guardò
indietro e divenne una statua di sale». Non ci tocchi la
stessa fine!
Specchiandoci in questa
pagina di Vangelo c'è veramente da arrossire, considerando
una realtà che mette in discussione il nostro modo di essere
o di chiamarci cristiani: ossia il nostro cercare di seguire
Cristo, ma senza rinunciare alle nostre apparenti sicurezze.
Troppe volte ,forse,
pretendiamo di seguire Gesù, sapendo di salire con Lui verso
"la sua Gerusalemme" e quindi sullo stesso suo altare della
Croce, ma senza farci del male: anzi, ribellandoci alla
prima prova, non riuscendo a capire la natura dello stesso
Amore che è sempre "spartizione nel dolore".
C'è una
frase che il mondo usa per definire la pace: "Pace senza se
e senza ma". E lo stesso è nell'essere cristiani: "senza se
e senza ma"
.