Pubblicato:
lunedì 28 dicembre 2009
Se vuoi,
prima di leggere la riflessione,
clicca qui per le letture
dal Lezionario
Sono trascorsi otto giorni dalla celebrazione del Natale e
la liturgia eucaristica ci propone il medesimo passo del
Vangelo; c’è un solo versetto in più: “Quando furono
passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli
fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo
prima di essere concepito nel grembo della madre”. Un
versetto breve, ma determinante, perché mette in evidenza la
vocazione di Maria: l’obbedienza a Dio.
Il termine obbedienza può suonare sgradevole, dato che
spesso viene associato ad una qualche costrizione; ma
considerando la sua etimologia, ob-audire, ascoltare-da,
tutto cambia, soprattutto, se la Persona che si ascolta è
Dio.
La maternità della Vergine incomincia dall’ascolto, come
nota S. Agostino, il quale scrive che Maria “prima concepì
nella mente e poi nella carne “
Maria di Nazareth, Madre di Dio, è la donna dell’ascolto
fiducioso e fedele della volontà di Dio, che è amore
salvifico.
Maria, la Madre di Dio, nella sua esistenza terrena non
conobbe privilegi, né gloria; seguì quel figlio per
trentatre anni, restando prevalentemente nell’ombra.
Sapeva di vivere “la pienezza dei tempi” perché Dio stesso
era sceso nel tempo, per mezzo suo, ma non sempre capiva,
vicende, eventi, parole che si riferivano a Lui; ne faceva,
comunque, oggetto di riflessione e le conservava nel cuore.
Giunse poi il tempo del ministero pubblico di quel figlio,
veramente unico, e giunse il dramma finale che Maria visse
senza che a noi sia giunta una sua parola; ai piedi della
croce, i Vangeli ci dicono che “stava”, perfettamente unita
a Lui, perfettamente obbediente al Padre, pienamente Madre,
in una maternità “nuova”
Maria è il bene smisurato lasciato in testamento a noi dal
Redentore morente: «donna, ecco tuo figlio»; da
allora, sino alla fine del tempo, la Madre di Dio è presente
tra gli uomini, per guidarli, proteggerli e precederli nella
gloria finale.
In questo giorno la Chiesa invoca la benedizione e la pace
sul mondo intero, perché il tempo e la storia siano secondo
il progetto di Dio che vuole gli uomini tutti fratelli,
perché suoi figli.
Maria, che oggi festeggiamo Madre del Dio Redentore, è la
donna della pace, la Regina della pace. Una pace che non
dipende dalle circostanze ma dal cuore. Lei custodiva la
Parola di Dio nel suo cuore e la Parola di Dio crea pace. E
sul suo esempio particolarmente ogni donna e ogni famiglia
deve essere costruttrice di pace. Diceva Madre Teresa: “Se
non ci sarà pace nel seno di una donna, non ci sarà pace nel
mondo”.
La Chiesa oggi, oltre che parlarci di pace ed invitarci a
costruire la pace con l’amore, ci mette tutti sotto la
protezione e la guida di Maria, “donna di pace e di grande
amore”. Donna che ha saputo attraversare la difficile vita
con Giuseppe e Gesù a Betlemme, accettando con sofferenza e
serenità l’odio di Erode, che voleva uccidere Gesù fuggendo
in Egitto. E chissà quante volte si è imbattuta, nella vita
di tutti i giorni a Nazareth, con la quotidiana cattiveria,
che non risparmia nessuno, neppure i buoni. Chissà quante
volte ha tremato per il Figlio, durante la vita pubblica, a
volte amato, a volte odiato, solo perché indicava ed era la
Verità.
In Gesù Cristo Dio assume, infatti, un corpo di carne e
assimila in pienezza (eccettuando il peccato) la materialità
del corpo umano; ed è per questo che doveva necessariamente
nascere “da donna”.
Come conseguenza logica, ne deriva che Maria è
madre di Dio;
madre cioè del Dio fattosi carne allo scopo di apportare la
nostra salvezza. Facendosi uomo, poi, il Figlio di Dio non
cessò di essere Dio, ma per un mistero ineffabile della
nostra fede coniugò umanità e divinità e questo ancora una
volta attesta la legittimità del titolo donato a Maria:
Madre di Dio.
I non cattolici potrebbero obiettare su tanti altri titoli
da noi attribuiti alla Vergine, quali Immacolata o Assunta,
ma a ragion di logica quello di Madre di Dio dovrebbe essere
da tutti i cristiani universalmente condiviso, anche perché
attestato categoricamente nell’espressione di Elisabetta: “A
che debbo che la madre del mio Signore venga a me?” (Lc
1, 48); ma al di là delle considerazioni teologiche, questo
titolo assume una rilevanza anche per l’umanità stessa, che
vede in Maria un ulteriore espressione dell’amore di Dio nei
suoi confronti.
Maria è stata definita anche “tabernacolo del Dio
Altissimo”, perché lei per prima ha portato nel suo grembo
verginale il Salvatore del mondo, in corpo, sangue, anima e
divinità. Lo stesso Salvatore che noi riceviamo, nel mistero
della SS. Eucaristia,
Maria porta nel suo grembo e dà alla luce il Principe della
pace. È lei che ha assaporato in modo unico e singolare
questo dono natalizio e pasquale, che è la pace fondata in
Cristo e che da Lui assume valore e significato vero. Ed è a
Maria che la Chiesa e l’umanità intera si rivolge in questo
giorno iniziale del nuovo anno per chiedere al Signore il
dono della pace.
Il Concilio ci ha insegnato a guardare a Maria come alla
“figura” della Chiesa, cioè suo modello perfetto e sua
primizia. Allora anche noi, che siamo Chiesa, imitando Maria
possiamo e dobbiamo diventare “madri di Cristo”.
Alcuni Padri della Chiesa sono arrivati a dire che, senza
questa imitazione, il titolo di Maria sarebbe inutile per
me: “Che giova a me, dicevano, che Cristo sia nato una volta
da Maria a Betlemme, se non nasce anche per fede nella mia
anima?”. Gesù stesso iniziò questa applicazione alla Chiesa
del titolo di “Madre di Cristo”, quando dichiarò: “Mia
madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di
Dio e la mettono in pratica” (Lc 8, 21). La liturgia
odierna ci presenta Maria come la prima di coloro che
diventano madri di Cristo mediante l’ascolto attento della
sua parola. Ha
scelto infatti, per questa festa, il brano evangelico dove è
scritto che “Maria, da parte sua, serbava tutte queste
parole meditandole nel suo cuore”.
Scrive Raniero Cantalamessa: «Vi sono due maternità
incomplete o due tipi di interruzione di maternità: una è
quella, antica e nota, dell’aborto; essa ha luogo quando si
concepisce una vita ma non si partorisce, perché, nel
frattempo, o per cause naturali o per il peccato degli
uomini, il feto è morto. Un altro consiste, all’opposto, nel
partorire un figlio senza averlo concepito. Così avviene nel
caso di figli concepiti in provetta e nel caso desolante e
squallido dell’utero dato in prestito per ospitare, magari a
pagamento, vite umane concepite altrove. In questo caso,
quello che la donna partorisce, non viene da lei, non è
concepito “prima nel cuore che nel corpo”.
Purtroppo, anche sul piano spirituale ci sono queste due
tristi possibilità. Concepisce Gesù senza partorirlo chi
accoglie la Parola, senza metterla in pratica, chi continua
a fare un aborto spirituale dietro l’altro, formulando
propositi di conversione che vengono poi sistematicamente
dimenticati e abbandonati a metà strada. Insomma, chi ha la
fede, ma non ha le opere.
Partorisce, al contrario, Cristo senza averlo concepito chi
fa tante opere, magari anche buone, ma che non vengono dal
cuore, da amore per Dio e da retta intenzione, ma piuttosto
dall’abitudine, dall’ipocrisia, dalla ricerca della propria
gloria e del proprio interesse, o semplicemente dalla
soddisfazione che dà il fare, l’agire. Insomma, chi ha le
opere, ma non ha la fede».
Dio ha in mente per ciascuno di noi un viaggio strepitoso,
in-credibile, eccezionale. Ma non può farlo, se noi non ci
fidiamo di Lui, se noi resistiamo, se noi continuiamo ad
opporci, a voler dirigere da noi la nostra vita, a voler
stabilire noi cosa è meglio per noi. Dio sceglie e può agire
solo in chi è disponibile, solo in chi si fida, solo in chi
può dire, come Maria: “Va bene, non so dove mi vuoi portare,
ma mi fido di te. Sia ciò che dev’essere e andiamo! Dirigi
tu la mia vita e io ti seguirò”.
Dio ha potuto fare ciò che ha fatto con Maria perché lei è
stata disponibile. Ma Dio sceglie tutti, bisogna solo
dirgli: “Sì”, e poi lasciarsi portare.
Nessuno garantisce che sia un viaggio facile; a tutti viene
garantito che sarà intenso, che ci realizzerà e che ci farà
diventare qualcosa che non avremmo neanche mai lontanamente
pensato di diventare nei nostri più lontani sogni.
Celebrare Maria, donna del sì, ad inizio anno vuol dire
imparare da lei. “Sì, Signore voglio farmi portare da te;
conducimi e io ti seguirò. E andremo lontano!”.
E qualunque cosa mi succeda ti dirò: “Sì”.
In questo sta la pace.
Buon anno.