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Riflessione sulle Letture Festive

a cura del Diacono Gaetano Bellino

 

Anno Liturgico 2009-2010 (Anno C)

 

 

11 Luglio 2010 - XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Pubblicato: lunedì 5 luglio 2010

Se vuoi, prima di leggere la riflessione, clicca qui per le letture dal Lezionario

Gesù è in viaggio verso Gerusalemme, un viaggio che non si è compiuto “in quel tempo”, come ci dice l’incipit del brano di Vangelo che la Liturgia di questa XV Domenica del T.O. ci propone alla meditazione, non è astratto e lontano dalla vita ma passa per le strade degli uomini. Gesù lo compie “ora”, riguarda la nostra vita, è per la nostra salvezza. Come abbiamo letto nel brano tratto dal libro del Deuteronomio: “non è nel cielo, perché tu dica: chi salirà per noi il cielo per prendercelo e farcelo udire sì che lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire sì che possiamo eseguire? Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”. Il Vangelo è vicino, si fa davvero prossimo a ciascuno di noi, non è lontano nel tempo ma è “ora”, oggi.

Gesù risponde ad un dottore della legge che, come noi, continua a non voler capire chi sia il suo prossimo e interroga Gesù con parole alte e, anche, vere: “Maestro, che debbo fare per ottenere la vita eterna?” Sono parole che anche altri avevano rivolto a Gesù: ricordiamo il giovane ricco. Ma non c’era sincerità nel cuore di quel dottore della legge, tanto che alla risposta di Gesù sul primato del comandamento dell’amore, tenta di giustificarsi: “Chi è il mio prossimo?”. Gesù, così come fece con il giovane ricco, non gli risponde con un discorso che è “al di là del cielo o al di là del mare” ma inizia dicendo: “un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gerico e incappò nei briganti …”. Gesù parla di una strada che tutti conoscevano e racconta un fatto che, probabilmente, capitava spesso. Del malcapitato Luca non ci dice né il nome né la condizione, ma solo che era un viandante che percorreva una strada pericolosa. Infatti, lo ritroviamo spogliato e malmenato, lasciato solo, mezzo morto, lungo i bordi della strada, una strada da cui passano in tanti.

Il primo che passa è un sacerdote, un “uomo di chiesa”, diremmo oggi, preoccupato di andare a celebrare il culto, con la paura di rischiare l’impurità, nel caso avesse toccato un cadavere o del sangue. Per lui, Dio è rinchiuso nel Tempio e nel Tempio và per incontrarLo. Il sacerdote vive secondo una regola di vita che suona pressappoco così: “ciò che è mio è mio e me lo tengo io”; per questo, vedendo il moribondo, “passa oltre”, dall’altra parte. Quante volte ci sarà capitato di “passare oltre”, magari perché dovevamo andare a Messa, incuranti del fratello che il Signore aveva messo sulla nostra strada per fargli arrivare una parola di conforto o semplicemente un sorriso o un po’ di compagnia non curanti che era stato aggredito e “lasciato mezzo morto dai briganti” e che, probabilmente, lo stavamo consegnando nelle mani di altri briganti.

Il secondo che passa è un levita: anche lui è un uomo di chiesa, con le stesse preoccupazioni del sacerdote. Anche lui continua per la sua strada perché la sua preoccupazione consiste nello studiare la Legge e nel discutere su “chi è il mio prossimo”, non nel sapersi avvicinare per essere lui prossimo di chi ha bisogno: come quando non ci siamo fermati con quel fratello perché ci avrebbe fatto perdere la Messa o una catechesi sull’essere fratelli o sull’amore

Il terzo che passa è un samaritano. I giudei detestavano i samaritani e, come abbiamo visto due domeniche fa, la cosa era reciproca. Per i giudei, il samaritano era un eretico, era di razza impura e, per questo, era considerato un nemico da emarginare. Il samaritano non si aggrappa ad un codice di leggi, agisce semplicemente spinto da ciò che sente e dalla sua esperienza di emarginato: si avvicina al ferito e “sente compassione”. È da notare che Luca usa questa espressione oltre che con Gesù e con il Padre solo con il samaritano. Aver compassione è un gesto prevalentemente divino che si traduce nella piena solidarietà con i reietti, con coloro che sono lasciati “mezzi morti” ai margini della vita. Solo il samaritano, perché vive sulla  sua pelle l’emarginazione, è capace di compassione, di farsi prossimo di colui che è stato aggredito. L’eretico, l’impuro, il nemico, è capace di vivere la Legge pur senza averla studiata né celebrata. Il samaritano viveva secondo la regola di vita: “ciò che è mio, ti appartiene e lo condivido con gioia”. Grazie alla sua misericordia il suo peggior nemico ricupera la vita. Il samaritano non ebbe bisogno di andare al Tempio per la celebrazione del culto per incontrare Dio: lo incontrò nel nemico lasciato mezzo morto. Lo sventurato caduto nelle mani dei briganti, probabilmente è un giudeo, vittima di quanti vivono secondo la regola di vita: “ciò che è tuo è mio e me lo prendo io”.

Tre categorie di persone con tre regole di vita: per il sacerdote ed il levita spinti dal loro egoismo “ciò che è mio è mio e me lo tengo io”; per i briganti, i prepotenti “ciò che è tuo è mio e me lo prendo io”; per il samaritano “ciò che è mio, ti appartiene e lo condivido con gioia”. Gesù ci chiede: “ Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti? “.

Il sacerdote ed il levita non sentono compassione e quell’uomo mezzo morto restò solo: è un uomo  solo; in lui possiamo vederci tanti uomini e donne, piccoli e grandi, giovani e anziani, lasciati mezzi morti ai margini delle strade di questo mondo. In  lui possiamo vederci i milioni di profughi che fuggono dalle loro terre; i condannati a morte isolati da tutti; popoli interi schiacciati dalla guerra e lasciati soli ai margini della storia; o tutti quelli che muoiono di fame e di torture, di violenza e di abbandono; o tutte quelle persone che vivono il dramma della solitudine. Ma se tanti sono quelli che possiamo identificare con quell’uomo solo, ugualmente alto è il numero dei “sacerdoti” e dei “leviti” che continuano a camminare e ad andare oltre, dalla parte opposta a quella dei poveri. Il Vangelo nota che passavano per quella “medesima strada”; quasi a dire che quell’uomo mezzo morto non era sconosciuto e lontano tanto da non accorgersene. I poveri sono ormai conosciuti, la televisione e i giornali ne parlano, non sono più lontani. Eppure, come deviati da un’infelice abitudine, come se nulla fosse, passiamo dall’altra parte, diretti verso altri interessi: i nostri. Il sacerdote e il levita non amavano che se stessi e i loro impegni rituali e  chi è preso da sé stesso, non sente che sé stesso, vive senza compassione per gli altri e passa oltre.

Ma dov’è questo oltre? Cosa c’è oltre? Oltre l’uomo c’è il nulla, l’assurdo, l’inutile! Nessuno può dirsi estraneo alle sorti dell’uomo, nessuno può dire: io non c’entro. Siamo tutti sulla stessa strada piena di briganti in agguato pronti ad aggredirci; ci salveremo o ci perderemo tutti insieme.

Non dobbiamo fermarci a discutere ma agire come quel samaritano: avere compassione, e farci prossimi gli uni degli altri. La compassione è il meno sentimentale dei sentimenti, il meno sdolcinato, il meno emozionabile, è “soffrire insieme”. La compassione non è un impulso naturale, è una conquista. Farsi prossimo è una conquista che mette al centro il dolore dell’altro.

Per descrivere la compassione Luca mette in fila dieci verbi che, se letti da soli, compongono una  meravigliosa poesia:

lo vide,

ebbe compassione,

si fece vicino,

fasciò le ferite,

versò olio e vino;

lo caricò,

lo portò,

tirò fuori due denari,

li diede,

ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno.

Questo è il nuovo decalogo, i nuovi dieci comandamenti di ogni uomo, credente o no, perché gli uomini siano “prossimi”.

 

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Ultimo aggiornamento: 05-07-10