13 Dicembre 2009 -
III Domenica di Avvento (Anno C)
Pubblicato:
martedì 8 dicembre 2009
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È la Domenica del “Gaudete” (Rallegratevi), dalle parole che
S. Paolo rivolge ai fedeli di Filippi e che la Liturgia
rivolge a noi perché il Natale è ormai alle porte e quindi
ci invita a rivivere quei momenti che, immediatamente,
precedettero la venuta del Salvatore.
Il vero motivo della gioia: “il Signore è vicino!”.
“Rallegratevi nel Signore, sempre, ve lo ripeto,
rallegratevi: il Signore è vicino”. “Non temere, non
lasciarti cadere le braccia: il Signore Dio che è vicino a
te, è un salvatore potente”.
Motivazione della gioia: perché il Natale è vicino?
Argomento piuttosto povero: che il Natale sia un evento
gioioso è fuori dubbio; che bisogna cominciare a godere due
domeniche prima potrebbe sembrare una forzatura.
Indipendentemente dal godere oggi o fra qualche giorno,
quello che la Liturgia vuole ricordarci è che Cristo è stato
per il mondo portatore di gioia, che il messaggio di
salvezza è un messaggio di gioia.
La salvezza è sempre elemento di gioia; chi è scampato ad un
pericolo è sempre contento. Una salvezza che non dà gioia
non è salvezza.
L’idea che ha preso il sopravvento nella logica della
società di oggi è che per essere contenti, ci
vuole...qualche peccato! «Se ci togliete qualche
peccatuccio... che cosa ci resta?». Se così fosse, la
salvezza starebbe effettivamente all’opposto, perché la
salvezza è liberazione dal peccato. C’è confusione di
linguaggio e, soprattutto, confusione di idee. Il peccato,
specialmente del sesso, della vendetta, della violenza, del
furto quando riesce, procura piacere, ma una cosa è il
piacere altra cosa è la gioia.
Gioia è serenità, pace con tutti; anche piacere, ma ordinato
come il piacere del sesso nel contesto del matrimonio,
piacere del dovere compiuto, del raggiungimento di uno
scopo. Piacere e gioia possono coincidere, ma possono anche
stare all’opposto.
Si può provare persino piacere di aver ucciso una persona,
mai gioia! Piacere e gioia coincidono nell’uso del sesso nel
matrimonio, divergono nell’uso del sesso in caso di
adulterio: in questi casi il piacere dei sensi è lo stesso,
la risonanza e la successiva disposizione di animo è
completamente diversa.
A lungo andare il piacere ricercato come fine a sé stesso
produce nausea, squilibri, esasperazione. La gioia è fonte
di salute spirituale e fisica: è la migliore medicina per
tutte le malattie.
Il peccato ci impedisce di essere felici quando lo mettiamo
come un diaframma tra noi e Dio; se invece mettiamo Dio tra
noi e il peccato, allora torna la serenità e la felicità. La
fede è sempre fonte di gioia.
Con l’avvento del Figlio di Dio nella Storia, l’uomo non ha
più ragione di temere, perché non cammina più solo tra le
tenebre della vita, ma ha affianco a sé il suo Salvatore: “Il
Signore ha revocato la tua condanna, ci dice ancora il
Profeta, ha disperso il tuo nemico....tu non vedrai più
la sventura”; infatti, non ci sarà più condanna per
l’uomo, ridiventato amico, anzi figlio di Dio, nel Cristo
che gioisce per la nostra salvezza, come dirà un giorno ai
suoi discepoli: “Ci sarà gioia nel cielo più per un
peccatore che si converte, che non per noventanove giusti,
che non hanno bisogno di conversione.”(Lc.15,7); è Lui,
il Salvatore, che ci fa nuovi con il suo amore, quell’amore
infinito che, come ci dice ancora Sofonia, lo fa “gridare
di gioia”.
Giovanni il Battista che ci predispone all’avvento del
Salvatore ci prepara anche a quella che dovrà essere la
nostra parte nell’opera della Salvezza, perché essa non può
esserci senza la nostra libera cooperazione. “Che dobbiamo
fare?”, chiedeva la gente a Giovanni. La sua risposta era un
pressante invito a metter le cose in ordine, a non far del
male, ad operare la giustizia. Il battesimo che egli
amministrava era solo un segno ed un invito di purificazione
e di pulizia morale, ma quello di “Colui che stava per
venire” sarebbe stato un Battesimo di “fuoco e di
Spirito Santo”, di Giustizia e di Santità.
Giovanni Battista ci dice come dobbiamo vivere l’Avvento,
come dobbiamo vivere davanti al Signore, nell’attesa di Lui,
come dobbiamo vivere la vita, nella scelta dei valori
fondamentali. Alla domanda: Che cosa dobbiamo fare? Egli
risponde: “Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha e chi
ha da mangiare faccia altrettanto”.
Gesti concreti che ci fanno vivere la conversione del cuore
e della vita, la giustizia e ci permettono di dare dignità e
possibilità di esistenza a chi ci è fratello, ovunque si
trovi!
Come è attuale e necessario questo richiamo nel mondo di
oggi che vive le forme più gravi dell’ingiustizia: i ricchi
sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri (o
impoveriti, a causa dello spreco dei ricchi).
Come cristiani siamo chiamati per primi alla conversione,
cioè a servire la verità e la dignità di ogni vita, di ogni
persona. Siamo chiamati a vivere la sobrietà, per non
lasciarci scivolare nella logica del consumismo e dello
spreco, per imparare a condividere con gli altri quanto
abbiamo. “è dando che si riceve...” dice una preghiera di S. Francesco.
La forza di persuasione di Giovanni il Battista e tanta sua
autorevolezza, avevano suscitato il dubbio in coloro che lo
ascoltavano, che egli fosse il Messia; ma, alla loro
domanda, Giovanni risponde: «...viene uno che è più forte
di me, al quale io non sono degno di sciogliere neppure il
legaccio dei sandali...»; egli è solo un uomo,
illuminato dallo Spirito, ma, come tutti gli altri, in
attesa del Messia, all’avvento del quale preparava gli
animi; è colui il quale dà voce alla “Parola” ed il
battesimo che egli amministra è solo un segno, ma il Cristo
che viene, il Figlio, l’Agnello di Dio, la Parola di Dio
incarnata, Egli è l’unico che possa, realmente, togliere il
peccato ed è questo il senso delle parole: “non sono
degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali”;
c’è un abisso tra Giovanni e il Messia, lo stesso abisso che
corre tra l’uomo e Dio.
Del Cristo che viene, il Battista, traccia un ritratto al
quale siamo poco abituati: un Cristo esigente, quasi duro,
che non ammette mezze misure, che sembra non tener conto
della fragilità e dell’incoerenza, proprie dell’uomo;
Giovanni ancora non sa che il Figlio di Dio non metterà la “scure
alla radice” (Lc. 3,9), ma darà tempo, anche all’albero
sterile, di fruttificare e che, come annunciava Isaia: “non
farà sentire, alta, la sua voce nelle piazze, non spezzerà
la canna incrinata, né spegnerà il lucignolo vacillante....”
( Is. In Mt. 12,19-21); ma, come il buon pastore, andrà alla
ricerca della pecora smarrita e la riporterà al sicuro,
reggendola sulle spalle.
Le risposte di Giovanni non sono accomodanti, non
accarezzano i vizi, non sminuiscono la gravità del male che
gli viene presentato, ma lasciano una possibilità di
cambiamento, indicano la necessità della conversione e
propongono dei gesti possibili per rinnovare il proprio
stile di vita.
Le risposte che, purtroppo, ci vengono propinate, in tutti i
toni, dai mass media sono fatte di ricette tutte condite con
i verbi dell’egoismo dilagante:
“sistemarsi, realizzarsi, arrangiarsi, divertirsi”.
Ma queste formule, spacciate come miracolose, danno poi la
felicità che promettono?
«Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto:
siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il
Signore è vicino!»
I gravi peccati contro il sesto comandamento non possono
essere taciuti ne passare sotto silenzio perché la cultura
dominante di questa nostra società legittima assurdi
comportamenti immorali in campo sessuale. Noi abbiamo il
dovere di denunciare tutto il male in questo campo e di
mettere un freno ad esso proponendo, non solo a parole, ma
con la testimonianza di vita che sia di totale rispetto
della dignità e della sacralità di ogni persona umana.
In questo senso la solennità dell’Immacolata è un forte
appello al recupero della dignità di ogni persona umana, dal
concepimento al suo naturale termine. Una persona fatta ad
immagine e somiglianza di Dio, anche se fragile e debole per
le conseguenze del peccato originale, rimosso dal sacramento
del battesimo, ma che comunque condiziona la nostra vita di
relazione con Dio e con i fratelli.
Possiamo dire che la solennità dell’Immacolata va oltre i
confini della festa religiosa e si colloca all’interno di un
processo culturale e morale, sociale e politico che va a
recuperare la dignità di tutte quelle persone che sono
offese ed umiliate in ogni angolo di questa nostra afflitta
ed amareggiata valle di lacrime.
In questa prospettiva comprendiamo esattamente quello che
scrive l’apostolo Paolo nel brano della lettera agli Efesini
e che leggiamo come testo della seconda lettura. Noi siamo
chiamati alla santità, alla purezza e modello di questo
nostro itinerario di perfezione nella carità è la Vergine
Immacolata, la donna caritatevole e generosa aperta con il
suo purissimo cuore a tutte le richieste dei fratelli
affamati, assetati, desiderosi non solo dei beni essenziali
ma del Bene per eccellenza che è Dio.
Per realizzare questo modello di vita umana e cristiana
abbiamo la necessità di lottare con maggior forza interiore,
che solo la grazia di Dio può donarci, contro le forze del
male che si annidano nel cuore dell’uomo e nella storia e
negli avvenimenti di questi nostri tempi.
Tutto sarà possibile con Maria e con il suo aiuto materno
che ci fa uscire dalle paludi e dalle sabbie mobili del
peccato che attentano alla nostra vita personale e
collettiva.
I dubbi e le incertezze di Maria nell’Annunciazione, di cui
ci ricorda il testo del vangelo, vengono superati con il
totale abbandono alla
parola di Dio, con il recupero della piena fiducia in
Dio, in quanto a Lui nulla è impossibile.
Chiediamo a Maria, in questo giorno solenne dell’immacolato
suo concepimento, di ritrovare la bussola e l’orientamento
per ripetere il nostro “Si” continuamente a Dio e metterci
davvero e completamente nelle sue mani, perché noi “siamo
opera delle sue mani” e gioia del suo cuore di Padre.
Maria ci conduca a Cristo, perché da Cristo, unico
salvatore,
redentore e mediatore possiamo attingere la forza necessaria
di quella grazia santificante che ci liberi da ogni
tentazione, da ogni male e da ogni peccato che insidia la
nostra anima e la nostra salvezza eterna.