Nella Liturgia di questa IV Domenica di Avvento esce di
scena Giovanni il Battista per far posto a Colei che
celebreremo solennemente come “Madre di Dio”, l’ottavo
giorno dopo Natale, ma che già, in questa domenica, emerge
in tutta la sua singolare grandezza di
vergine e
madre: Maria
di Nazareth.
Come ogni buon ebreo, anche
Maria era in attesa del Messia, ma era lontana dal pensare
che, proprio in lei, l’attesa di un intero popolo, avrebbe
preso forma perché lei lo avrebbe portato in grembo, lo
avrebbe sentito crescere in lei come ogni madre che attende
un figlio.
La sconosciuta Maria di
Nazareth sarebbe diventata la
madre del
Messia e, veramente, da allora “tutte le genti
l’avrebbero chiamata beata”.
Elisabetta, sua cugina, è la
prima persona che, accogliendola nella sua casa, la proclama
“beata”. anche lei è in attesa di un figlio, ma il
bimbo che
porta in grembo la sua giovane cugina è ben altro: egli è il
“Benedetto”, ecco perché l’anziana donna si rivolge a Maria,
domandandole, stupita: “A che debbo che la madre del mio
Signore venga a me?”.
La risposta di Maria è frutto
della semplicità della sua fede ardente e profonda e nello
stesso tempo è carica del Mistero grande di Dio, il Signore,
l’Altissimo, che si serve di strumenti poveri e sceglie ciò
che è debole e di poco valore, per operare grandi cose: “…grandi
cose, ha fatto in me
l’Onnipotente e santo è il suo Nome...”.
La forza della fede di Maria
e il suo abbandono al progetto di Dio si possono comprendere
solo in relazione a quel Figlio, che avrebbe partorito
all’umanità intera, perché fosse redenta.
Generalmente, quando pensiamo
a Maria di Nazareth, diamo tutto per scontato, ma non è
così; la forza, la statura morale di questa giovinetta, è
simile a quella delle grandi figure femminili dell’Antico
Testamento come Debora, Giuditta, Miriam. Donne eccezionali
che, tuttavia, supera perché lei sola ha incarnato la
categoria della “sponsalità”, categoria fondamentale della
Storia della Rivelazione. Categoria privilegiata da Dio per
rivelarci tutto il suo “Amore” per l’uomo.
Maria, la sposa del
carpentiere, è quella “donna” promessa fin dalle origini:
“...porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua
stirpe, e la sua stirpe: essa ti schiaccerà la testa...!
(Gn.3,15).
Maria è la donna annunciata
dai profeti: “Ecco, scrive Isaia, la vergine
concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”
( Is..7,14)
Maria è la madre di cui anche
Michea parla, come leggiamo nella seconda lettura di questa
domenica: «…Perciò Dio li metterà in potere altrui, fino
a quando colei che deve partorire, partorirà; e il resto dei
tuoi fratelli ritornerà ai figli di Israele».
Questo è l’agire di Dio: dal
piccolo villaggio di Betlemme, e da una giovinetta, di
modestissima famiglia, senza prestigio nell’ambiente in cui
vive, darà al mondo, il Salvatore, il Forte, il Re di
Israele, il Principe della pace, Colui che è la vera Pace.
È quello che qualcuno ha
definito: “il miracolo dei miracoli”, perché la bassezza, la
piccolezza e l’insignificanza, nelle mani dell’Altissimo, e
per la potenza del suo
amore, sono
elevati ad altezze impensabili.
Di questo miracolo è
testimone autorevole e singolare, la Vergine, la giovane
madre del
Figlio di Dio che, appassionatamente e con forza proclama: “L’anima
mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio
salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua
serva...grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente...”, e
ha rovesciato i potenti, ha rimandato i ricchi e disperso i
superbi, per risollevare gli umili, i poveri e gli ultimi
della terra, quanti sperano in Lui e a Lui obbediscono, con
amore e fiducia.
“Eccomi! Sono la serva del
Signore; avvenga in me secondo la tua parola” (Lc.1,38)
è questo l’atteggiamento fondamentale di Maria, la
disposizione umile e coraggiosa che l’ha resa grande agli
occhi di Dio, “piena di grazia”, ed ha operato il
miracolo della sua maternità.
È questo l’atteggiamento che,
ancora oggi, lei consegna ad ogni uomo o donna che voglia
appartenere a Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo,
obbediente al Padre, fino alla morte, come recita il passo
della lettera agli Ebrei, che la liturgia, oggi propone,
nella seconda lettura:
“Fratelli, entrando nel
mondo, Cristo dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né
offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto:
io vengo, poiché di me sta scritto nel rotolo, per fare, o
Dio, la tua volontà»....”
A quest’offerta, sappiamo, fu
strettamente unita la Madre, presente, in tutta la vita del
Figlio di Dio, suo figlio Gesù, fin sul Calvario, là, dove
il suo coraggio di madre, e la sua fede, conobbero la prova
più ardua.
Capanna di Betlemme e
Calvario sono un’unica ed inscindibile verità e realtà della
salvezza del
genere umano, perché è lo stesso Figlio di Dio che nasce tra
noi e muore tra noi per amore.
dopo
aver accolto con gioia l’annuncio della sua prossima
maternità e dopo aver dato l’assenso Maria, “In fretta”,
si incammina senza indugiare verso la casa di Elisabetta; si
muove con prontezza, speditamente, affrontando tutti gli
imprevisti e i pericoli del viaggio.
E noi saremo in grado di
“partire” da noi stessi, cioè di affrontare le fatiche e le
privazioni di un viaggio parallelo a quello di Maria, per
poter abbandonare le nostre certezze, le nostre presunte o
camuffate ambizioni di affermazione per aprirci al servizio
vero e sincero agli altri?
In forza dell’Avvento che ha
accompagnato il nostro cammino abbiamo avuto la “speditezza
della conversione”, unica capace di favorire in noi la
convinzione della presenza di Dio nella nostra vita come è
avvenuto in Maria?
Se abbiamo vissuto con
freddezza l’Avvento, sulla scia delle sole prerogative del
consumo, del lusso o dell’affermazione, allora il Natale per
noi sarà “una... festa senza
festeggiato”.
Avremo perduto un’occasione unica: quella dell’Avvento, che
vuol dire preparazione, predisposizione e... pregustazione
della gioia.
Se invece abbiamo vissuto
l’Avvento come tempo di
grazia che il Signore ci ha concesso per progredire nel
cammino di conversione, l’evento di Betlemme apporterà in
noi pace e felicità e ci condurrà ad esultare con gli altri,
cioè a donarci nella gioia dell’offerta e del servizio,
dell’umiltà e della rinuncia a noi stessi.
Nessuno, infatti, ha scritto
qualcuno, può festeggiare il Natale senza chiedere il
permesso ai poveri e ai bisognosi, ai derelitti, agli
affranti, agli emarginati e agli abbandonati, perché Dio
nasce da povero soprattutto per loro, svergognando chi li
tratta con rifiuto, chiusura e indifferenza o peggio chi li
usa per affermare se stesso. Dio sceglie ciò che è piccolo
per mostrare quanto grande sia il suo
amore.