Il
dipinto che raffigura l’Immacolata Concezione è collocato nella navata di destra
della Chiesa Madre e fa da pendant alla pala raffigurante la Santissima Trinità, collocata sull’altare di fronte;
il dipinto con tutta probabilità fu realizzato dal pittore fra il 1759 e
il 1761, periodo in cui si trovava presso il convento dei Cappuccini di Casteltermini in qualità di Guardiano. Il culto mariano, strettamente connesso
con la vena più autenticamente intimista della religiosità francescana,
sembra costituire il filo conduttore nell’ispirazione del dipinto.
L’impostazione dell’opera è piramidale e si aggancia ai modi di Sebastiano
Conca, reintegrandoli però nella sapiente fusione della linea circolare. La
Madonna è il vertice semantico della composizione; essa risplende in tutta la
sua santità grazie alla luce che le viene dai raggi dello Spirito Santo,
simboleggiato dalla bianca colomba , e anche dall’aureola di dodici stelle, che
infonde un candido bagliore sul volto soave. Il dipinto è costruito
mediante dense pennellate di colore. Sotto il profilo cromatico le vesti
mostrano tocchi pastosi e lucenti. La morbidezza del modellato
rivela che Padre Fedele fu anche un attento continuatore del classicismo
di estrazione marattesca, diffusasi in Sicilia soprattutto attraverso la
mediazione del Conca. Di grande efficacia dinamica risulta la presenza di
angeli e putti che emergono dallo sfondo. Come ad esempio: l’angioletto in
basso, che reca un ramoscello di gigli sbocciati simbolo della
verginità della Madonna. Inoltre, lo schema dell’angelo colto in scorcio rimanda
a quelli relativi ad analoghe figure nei due quadri: uno posto nel coro
della stessa chiesa e l’altro raffigurante L’Immacolata con SanSerafino di Montegranaro ( o d’Ascoli) nella chiesa dei cappuccini
in San Lorenzo Nuovo.
La
tela risulta una delle più artificiose della produzione castelterminese di Padre
Fedele ed è relativa agli anni 1759-1761; periodo in cui il pittore si trovava a
Casteltermini. La composizione del dipinto, affollato di angeli e puttini,
appare articolato su due piani distinti, anche se ideologicamente complementari.
Nella parte superiore domina lo Spirito Santo, simbolicamente rappresentato da
una colomba bianca, l’Eterno Padre e il Cristo Redentore, che come il Padre
tiene in mano lo scettro del comando. Ai piedi dei protagonisti gli angeli
recano i simboli della passione: frusta, corona di spine e chiodi. Intorno un
moto dinamico costituito da testine di puttini festanti su uno sfondo vibrante
di luce e tendente a toni dorati e chiari raramente usati
dall’autore. Nel piano inferiore risaltano due vigorosi angeli, uno raffigurato
di fronte e l’altro di schiena, nell’atto di sostenere la grande Croce inclinata
per sollevarla verso la Trinità ,sono presenti particolari riferimenti ad altre
opere del maestro Sebastiano Conca come lo scorcio della figura angelica nel
margine sinistro, ma anche indicazioni tratte dai dipinti di Sozzi e di D’Anna
come l’angelo colto in volo ed inserito ad incastro nel registro
inferiore. I toni cromatici, infine, sono familiari alla tavolozza pittorica di
Fedele.
Secondo
la tradizione orale consolidata, il dipinto fu realizzato da Padre Fedele
durante gli anni in cui si trovava a Casteltermini, dove nel convento dei
Cappuccini svolgeva le mansioni di padre guardiano. Uno scrittore locale,
Francesco Lo Bue, nello scritto in “Uomini e Fatti di Casteltermini nella
storia moderna e contemporanea”, per deduzioni personali o attingendo
probabilmente a notizie documentarie, scrive che: “alla data del 1752 ...
risultava essere stato sicuramente rifinito”. Il dipinto mostra un impianto
compositivo piramidale. L’angelo ,con le ali ancora aperte, indossa un mantello
svolazzante che indica il moto subito arrestatosi dinnanzi alla Vergine,
alla quale addita il cielo. La Vergine è rappresentata secondo la consueta
iconografia: con le mani incrociate sul seno e la testa reclinata
in segno di umile accettazione. Dall’alto irrompe il Padre Eterno fra una
schiera di angeli e cherubini; ha al fianco lo Spirito Santo, che irradia
i suoi raggi sull’angelo Gabriele. Il dipinto è pervaso da una luce
diffusa che avvolge le immagini facendole vibrare dolcemente soprattutto
quella di Maria che sta leggendo. Degni di nota sono anche mobili e oggetti
della quotidianità: l’inginocchiatoio ad indicare la pratica
religiosa della preghiera; il cesto da lavoro, simbolo dei lavori materiali
terreni; dei panni, che simboleggiano l’umiltà di Lei. Inoltre il ramoscello con
tre gigli bianchi in mano all’alato messaggero alludono allo stato verginale
della Madonna, bianca è anche la veste e anche qui il candore allude alla
purezza. Particolarmente curate sono le acconciature dei capelli dei
soggetti rappresentati. La scena infatti è arricchita da preziosi dettagli
cromatici, nel drappo di velluto rasato del leggio con frange e galloni e
nelle colorate ali dell’angelo sfumate con colori pastello. L’intero schema
compositivo si avvale di moduli figurativi contrapposti lungo la diagonale
centrale che si equilibrano vicendevolmente. Nella trattazione del tema, il
pittore sembra ispirarsi a due incisioni di R. Rosaspina tratte da Ludovico
Caracci: l’Annunciazione e San Carlo Borromeo che adora la Natività.
L’opera infine
presenta molte analogie con altre opere coeve dello stesso artista come ad
esempio il Transito di San Giuseppe, l’Estasi di San Fedele da Sigmariga, la
Madonna con Bambino e Santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova, tutte
collocate nella chiesa di San Francesco d’Assisi a Casteltermini.