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Riflessione sulle Letture Festive

a cura del Diacono Gaetano Bellino

 

Anno Liturgico 2009-2010 (Anno C)

 

 

4 Luglio 2010 - XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Pubblicato: lunedì 28 giugno 2010

Se vuoi, prima di leggere la riflessione, clicca qui per le letture dal Lezionario

Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi”. Il Signore sceglie 72 discepoli, 70 secondo alcuni manoscritti, e li invia due a due nei luoghi che Lui attraverserà durante il suo viaggio verso Gerusalemme. Il numero 72 o 70 è emblematico: settantadue erano le nazioni della terra, secondo l’antica tradizione ebraica, e ricorda i settanta anziani di Israele. Con questo Luca vuole dirci che Gesù, sin dall’inizio, ha nei suoi pensieri tutti i popoli della terra e, a loro, invia i discepoli perché nessuno deve restare fuori dell’annuncio del Vangelo. Con lo sguardo rivolto sino ai confini della terra Gesù dice ai discepoli: “La messe è molta”, mentre pensa a questa moltitudine immensa e, con un accento di tristezza, aggiunge: “ma gli operai sono pochi”. C’è una sproporzione tra l’enorme attesa e il piccolo numero di discepoli. Ma il problema non è tanto nel numero quanto nella qualità degli annunciatori e dell’annuncio che saranno capaci di fare. Per fermentare la pasta, senza dubbio, è importante la quantità di lievito, ma è fondamentale che il lievito sia “davvero lievito”. Può succedere che gli operai si lascino prendere dalle proprie preoccupazioni e trascurino l’annuncio del Vangelo o, peggio che mai, lo annacquino a loro convenienza. Allora ecco che il Vangelo ci suggerisce l’identikit degli operai inviati a lavorare dal “Signore della messe”:

·    sono persone che pregano perché sentono l’urgenza del Regno di Dio e perché sanno che la missione dei cristiani è grazia che viene da Dio, il progetto viene ed è di Dio (v. 2);

·    sono persone che annunciano il Regno in una società piena di conflitti, coscienti che la persecuzione è una costante, tanto nella vita di Gesù quanto in quella dei discepoli (v. 3);

·    sono persone povere (v. 4);

·    sono persone di pace ed iniziano un nuovo tipo di relazione tra le persone (vv. 5-6);

·    sono persone che non cercano guadagno, che si spogliano del “possedere” perché sanno che l’accumulo dei beni, soprattutto quelli che vengono dalla predicazione, tradisce il progetto di Dio, confondendolo con quello della società che perseguita e uccide il Maestro (v. 7);

·    sono persone che si preoccupano di chi soffre e lavorano per integrare gli emarginati (vv. 8-9);

·    sono persone che non accettano compromessi con chi rigetta  il progetto di Dio (vv.10-11);

·    soprattutto sono persone che non cercano il loro potere e successo ma “la maggior Gloria di Dio”.

Domenica scorsa abbiamo visto che l’itinerario del cristiano è seguire Gesù fino a Gerusalemme, con la medesima sua radicalità nelle scelte per Dio. Oggi ci è richiesto un ulteriore impegno, quello di divenire suoi missionari “fino agli estremi confini della terra” per continuare la missione affidata ai primi discepoli che “egli designò e inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo” ma, soprattutto, nello stile di quei discepoli.

Lo stile della missione deve essere libertà e distacco: “non portate borsa, né bisaccia, né sandali”; niente deve distrarre dalla méta, con un rigore che testimonia rispetto per l’opera che ci è affidata: “non salutate nessuno lungo la strada”. Ma, al tempo stesso, la missione è rivolta alle persone, ai bisogni concreti, alle famiglie, portando pace e consolazione, che è il dono dello Spirito Santo.

In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Curate i malati che vi si trovano, e dite loro: È vicino a voi il Regno di Dio”. Verrà naturale per chi apprezza questi doni spirituali ricambiare con doni materiali che danno sostentamento e libertà d’azione al missionario.

“… mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa “.

Il senso dell’annuncio missionario è, alla fine, un giudizio: l’accoglienza o meno del missionario decide del proprio destino di salvezza: “Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato” (Lc 10,16). Il gesto di scuotere la polvere è come un richiamo forte alla responsabilità personale: “sappiate però che il regno di Dio è vicino” e Dio domanderà conto del vostro rifiuto e dell’opportunità persa: “Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città”.

… e li inviò a due a due avanti a sé”. San Gregorio Magno commenta che Gesù mandò i discepoli due a due perché la prima predica fosse, anzitutto, l’amore vicendevole: la comunione tra i fratelli è la prima grande predicazione e l’arma più forte per vincere la durezza dei cuori.

Ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi “. Non è agevole per un “agnello” far cambiare vita al “lupo”. E tutto è ancora più difficile se questi “agnelli” devono presentarsi senza “borsa, né bisaccia, né sandali”. L’unica loro forza è l’amore, è una “forza debole”, perché non ha né armi, né arroganza; eppure è forte a tal punto da toccare i cuori degli uomini.

Una missione, dunque, che prima di tutto è testimonianza e poi annuncio. La crisi delle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa ci dice quanto oggi sia difficile accogliere l’invito e le speciali vocazioni al servizio missionario. La messe oggi è davvero grande e gli operai stanno diventando sempre di meno e per lo più non sempre all’altezza del compito, quando la fragilità umana prende il sopravvento rispetto alla stessa grazia sacramentale.

I settantadue tornarono pieni di gioia”: i settantadue vanno e quando torneranno non avranno parole per esprimere la loro meraviglia per i tanti prodigi che hanno visto ma Gesù frenerà la loro gioia dicendo: “Rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nel cielo”.

Non è cambiato lo scenario dell’umanità dai tempi di Gesù: sono ancora tanti quelli che sono suoi discepoli; tanti quelli che Lo cercano in mille modi per ritrovare la propria identità di figli di Dio; tanti sono gli smarriti; basta dare uno sguardo all’umanità: un’umanità che suscita sempre la compassione del Padre, compassione che si fa Amore che si fa vicino, con l’andare dei discepoli ad annunziare o ricordare che Dio ama e ci è accanto.

Non conteranno le conquiste né le opere davanti a Dio: conterà il cuore. Non è quello che facciamo per Dio, ma quello che siamo e diventiamo per Lui ciò che costituisce la nostra grandezza e quindi l’autentica riuscita e felicità. La gioia di San Paolo era di possedere ormai pienamente l’Amore di Dio: “Niente mi potrà separare dall’amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore” (Rm 8,39). E la prima lettura di questa domenica parla proprio di questa gioia più profonda di chi conosce e accoglie la consolazione di un Dio che è tenero e tenace come il cuore di una madre: “Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò: i suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati”. La forza dell’apostolo sta nel sentirsi tutto e sicuro nelle mani di Dio: persecuzioni e insuccessi non lo toccano più. Certo, si tratta di una sicurezza che non deve essere spavalderia; era capitato a Pietro, che aveva dichiarato con ingenuità: “Sono pronto a tutto, fino alla morte per te!” e Gesù l’aveva avvertito: “prima che il gallo canti...!

Evangelizzare è certamente “rendere ragione della speranza che è in noi” (1Pt 3,15); ma prima  della parola, è la testimonianza della vita ad essere richiamo e stimolo alla fede: il cristiano coerente è già Vangelo vivo con la sola sua presenza, accompagnata dalla carità.

Scrive don R. Maggioni:

«Diventiamo operatori della verità nella carità, ciascuno in quel fazzoletto di tempo e spazio in cui il Signore l’ha chiamato a fiorire! Il mondo si rinnova col rinnovare ogni piccola tessera di quel puzzle che diviene sempre più bello nella misura in cui si colora dei colori del Regno di Dio».

 

 

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Ultimo aggiornamento: 28-06-10